mercoledì 21 dicembre 2016

"Io so chi sono, ho una pelle splendida e non tremo"



E' cominciato con un gennaio non troppo freddo, mi pare di ricordare, che una mattina mi sono svegliata ed era morto David Bowie. E io non me l'ero mai immaginato che potesse morire David Bowie. E io mi immagino sempre tutto, lo so sempre un attimo prima, mi preparo all'amore come al dolore come la più diligente delle scolarette.
E invece no.
Questa volta no.
Non mi ero preparata all'idea che potesse morire David Bowie, non ero pronta ad ammettere di aver sbagliato amore, non pensavo che sarebbe mai successo di guardarvi e non provare più emozione, che mi sarei innamorata come si fa a 16 anni, che avrei detto "è finita davvero" e poi avrei detto "inizia davvero".
E poi tanti cerchi che si chiudono, è stato un mantra che mi si è ripresentato spesso, in questi 355 e qualcosa giorni.
Amori che diventano silenzi.
Amici più lontani di estranei.
Estranei che sorridono come amici.
Limiti che si polverizzano.
Specchi che restituiscono una faccia alla quale sai dare un nome.
Ora sta per finire in un Dicembre di neve stupida, di pezzi di me che si perdono per sempre dentro incomprensioni che misurano distanze eterne.
E io guardo questa pelle e questo sangue che scorrono via, perché pelle e sangue mi siete sempre stati, ma sento che se provassi a trattenervi tradirei questa altra pelle e questo altro sangue che si sono risvegliati da quel tempo lontanissimo in cui avevo ancora i capelli davvero neri, ero bella e sdentata dietro ai miei occhiali azzurri, e sapevo perfettamente chi fossi.

Mi è sempre piaciuto il gioco dei buoni propositi per l'anno che verrà. Che mi mi fa spalancare la bocca al solo pensarlo che siamo arrivati fino a qui. Duemilaediciassette. Boja Fauss, si dice da queste parti.
Scrivere tanto,
barare di più,
truccarmi sempre,
tenere stretta la verità e non rivelarla quasi mai.

E poi oggi è il primo giorno d'inverno. Qui fuori c'è ancora un po' di neve. E fra pochi giorni è perfino Natale.

P.S.
Non te l'ho mai chiesto, Stefano. Ma tu, alla fine, l'avresti detto mai?


pic: #nofilterwinter, Verrua Savoia, dicembre 2016






martedì 29 novembre 2016

Polaroid #1

Non si guardano nemmeno, persi in pensieri asciutti che si sciolgono nel ghiaccio dei loro spritz insipidi. Improvvisamente non c'è più nulla che sia importante da dire. O anche solo che non lo sia, ma possa riempire di suoni quel vuoto. Eppure no. Non una parola che sia vera. Non un piccolo cenno, un'emozione da poco. E allora meglio questo silenzio annacquato che ottunde, culla e stordisce un po'. Come sia possibile che dopo anni di parole, pesanti/potenti/perfette, a volte urlate/insicure/laceranti, come è possibile, si chiede lei, che all'improvviso in questo ultimo pomeriggio d'estate, non ci sia più nulla che valga la pena di essere detto?
È necessario che si trovino almeno delle colpe, per provare a sopravvivere al male.
"Comunque sia andata io verrò al tuo funerale", dice, senza troppo pensare.
"Grazie. È rassicurante. E al mio matrimonio, verrai?"
lo guarda in quegli occhi verdi verdi e per un attimo si pensa lì, in chiesa, vestita di nero, mentre spia i sorrisi limpidi della donna a cui lui dirà "per sempre".
Sente la sua voce dire: "verrò, se mi inviterai" e nella verità di quella risposta, improvvisamente, si accorge di quanto anni luce lontana sia ormai da quell'amore.


mercoledì 23 novembre 2016

Animali Notturni, una specie di recensione.

Eccoci qui Tom.
E' passato un po' di tempo dall'ultima volta. Da quel film così uguale a me, dalle notti insonni a scrivere la mai tesi su di te, dalle lacrime quando sei tornato a sfilare. Sei riuscito a fare perfino un bambino, tu, nel frattempo.
Io ho continuato a inseguire farfalle, invece.
Sai, l'altro giorno ho rivisto dopo tanto tempo una persona molto importante della mia vita.
Mi sono presa qualche secondo per guardarlo da lontano, nel suo cappotto elegante.
E mi sono accorta che non provavo niente.
Niente.
Acqua gelata che scivola sulla pelle d'acciaio.
Eccoci qua.
Questa avrebbe dovuto essere una recensione di Animali Notturni, Tom. Il tuo secondo film acclamato e celebrato addirittura oltre le tue aspettative, ne sono sicura, perché so chi sei.
Solo che io stavo seduta sulla poltrona scomoda del vecchio cinema affollato, con le teste davanti a me che mi ottundevano un po' lo sguardo, dovevo fare anche la pipì...E non provavo niente.
Non ero curiosa, non ero triste, non ero emozionata.
Tutta quella violenza, le cose distrutte, i nervi tesi di Jake Gyllenhaal, quell'America infinita.
Ogni tanto mi protendevo sulla poltrona per cercare di avvicinarmi, per provare a sentire quel dolore che passava indenne negli occhi azzurrissimi dei protagonisti.
Non fraintendermi, Tom. Hai fatto un film bellissimo.
Un thriller vero. Giusto. Da far esultare di gioia la studentessa di cinema che è in noi, come ha detto una delle mie meravigliose sorelle.
Messi in fila A Single Man e Nocturnal Animals fanno di te uno di più grandi registi americani contemporanei. Senza ombra di dubbio. E nessuno deve permettersi di dire il contrario né osare negarti il tuo posto nell'Olimpo della storia del cinema.
E lo dico a caratteri cubitali.
Va bene così, Tom?
Ho le mani fredde e non riesco a scaldarle.
Ma non ha nulla a che vedere con i 17 gradi di questa stanza.
E' che a un certo punto, io davvero, non lo ricordo quando, queste mani gelate hanno staccato qualsiasi collegamento che portava sangue caldo al cuore.
Come un blackout improvviso nel mezzo di una festa.
Sono rimasti il silenzio, il vuoto, la gola secca.
I piedi che prima danzavano ora sono immobili davanti all'abisso.
Quindi davvero Tom, io avrei voluto scrivere una recensione sul tuo film.
Ma tu sai chi sono.
E sai bene che in un certo senso lo sto facendo.
Al di là della fotografia da urlare di bellezza. Oltre le musiche che raramente ho sentito così parte della storia. Senza dire nulla di un cast che sulla carta non mi piaceva e che si è rivelato eccezionale. Sorvolando sulla tua regia e soprattutto sulla sceneggiatura che sono parimenti senza difetti.
Non sono di parte. Lo hanno pensato tutti, mentre io restavo muta.
Perché il problema vero, Tom, è quanta verità ci hai messo in questo lavoro.
La tragedia è che le cose stanno davvero così. Siamo diventati uno stormo di animali notturni con il cuore congelato. E non c'è più nulla che possa salvarci.
Non la vendetta, non l'amore, non l'arte.
E' finita.
Siamo diventati ciechi e le mosche già banchettano con il nostro cadavere mentre le nostre donne ci aspettano, inermi veneri senza trucco, invano, fra le luci che vanno spegnendosi.









lunedì 21 novembre 2016

#postpolitico

Lo so. Qui dentro ho sempre parlato di cose belle, alte, potenti, nientedimeno.
Ma l'orrore bussa alle nostre porte e io non voglio restare indifferente.
Dovrei scusarmi in anticipo per i toni, ma come dire...non ne ho voglia.

Il concetto non è difficile.
Siete una manica di ignoranti e incompetenti, privi di grazia e fantasia. Mi fate uno schifo che le mie parole troppo ornate non sanno nemmeno immaginare. Nel pantano di merda che siete, e alla luce di tutta la merda intorno, il Partito Attualmente al Governo, guidato dal re indiscusso della merda, al di là di soluzioni utopiche tipo l'arrivo di Thor, è probabilmente davvero il minore dei mali in questo momento. Ne siamo consapevoli tutti, cara Emma. E lo diciamo chiaramente, con le maschere antigas ormai incollate alla carne del viso. Ciò detto, ma ti pare che io abbia questa voglia pazza di gettare nel liquame la mia Costituzione? No. Proprio no. Io magari la Costituzione non la so a memoria. L'ho letta distrattamente tanti anni fa. Ma so per certo che qualcuno è morto perché potesse nascere,so che è l'unico baluardo che mi difende strenuamente proprio dal genere di merde che in questo momento ha in mano il mio Paese, so che non ne so abbastanza e che nessuno di voi ne sa abbastanza per poter davvero pensare che sia lecito modificare e, soprattutto, so che non mi fido.
E quando non mi fido io preferisco che le cose restino come sono, perché il mio istinto è potente. Quindi sapete che c'è? Andare a dire in giro che se questo colpo di stato non riesce il Governo cadrà, l'Italia uscirà dall'Europa e l'Apocalisse si abbatterà sulla penisola è UN DELITTO. Un ricatto dei più beceri. Una roba che mi strappa le vene dei polsi solo a pensarla. Dimostra chiaramente solo una cosa: lo sprezzo che voi avete della democrazia.
E sapete che c'è? Io da un nugolo di merde che disprezza la democrazia la mia Costituzione non la faccio toccare. Perché voi presto scorrerete via lungo i condotti fognari e prima o poi arriverete a qualche depuratore e non sarete più un problema mio. Ma io ho 30 anni e un mucchio di nipotini minuscoli. E né io né loro abbiamo intenzione di subire lo scempio che credete di poter mettere in atto con modi immorali, offensivi, indegni. E come dire..il fatto che facciate firmare appelli perché io vi dia ragione alla moglie di Montalbano, ad un ballerino che non è nemmeno capace di accettare se stesso, ad un cantante ventenne miliardario e al regista più sopravvalutato della storia del cinema non fa che convincermi che quello che volete fare non sia una buona idea e che voi siate pervasi dalla più oscena malafede.
Provo una grande tristezza perché in questa trappola collosa sembrate attirare anche una manciate di persone che stimo. Ma si sa, sul viscido si rischia di scivolare anche con le migliori intenzioni.

mercoledì 9 novembre 2016

Canto delle cose che si rompono

Subisco vorticose contrazioni all'anima.
Bellezza, merda, abbandoni, attese, risate, resurrezioni.
Inchiostro a fiumi sotto la pelle.
Che poi le cose accadono e non sono quasi mai come le avevi sperate.
E gli altri se ne vanno lasciando scie malate del loro sporco addosso.
Ho fra le dita righe faticose.
E certezze che stillano come sangue dalla carne fatta a pezzi.
Che l'amore non vince mai sull'odio.
Perché se cosi fosse tu saresti qui, con le mani piene di coraggio, parlandomi come se esistessimo ancora. E io saprei chiederti scusa per quando ho sputato forte sul tuo dolore.
E' rimasta solo acqua che ci infetta i pori.
Fotogrammi malati.
Equilibri malsani.
Imparando a dimenticare le buone maniere, a dire "Vaffanculo" a voce alta.
Arrampicandoci su sentieri paralleli alla Vita che ormai battiamo da professionisti consumati.
Spiando la mano dell'avversario, che dagli occhi ci vomita strali di pena.
Che ne sarà del nostro odore?
I predatori già respirano il vento.
La città dei sogni si stagliava d'avorio e asfalto sotto ai nostri sguardi violentati, e io non sapevo più riconoscere dove fossi stata felice.







mercoledì 26 ottobre 2016

Una cosa resta vera

Una cosa resta vera, pur ammettendo tutto questo caos intorno, pur considerando che siamo artefici di un granello di sabbia del nostro destino, facendo salvo il fatto che quello che è successo lungi dall'essere colpa di qualcuno continua a fare un male fottuto a tutti.
Una cosa resta vera. Piccola come un soffio, lucente come il faro di una baia…una cosa sola: che io ti ho amato. Ti ho amato. Il che non è che sia in sé un fatto eccezionale, ci sono così tante persone che si amano, e nemmeno lo era per noi che, anzi, l’abbiamo sempre visto come un fatto naturale, le nostre anime si erano riconosciute e poi appiccicate incuranti di tutto il resto, forti e sicure della loro bellezza. Amarsi era semplicemente un fatto. Amarti una condizione a me necessaria. (…)
E poi con la stessa rapidità e quasi con lo stesso ardore avevo smesso di farlo. O forse no. Non smesso. Chè smettere le passioni non si può, le si accantona, ma esse ti hanno ormai lasciato un solco irrimediabile che il tempo riempie…la pioggia porta il fango, i detriti si staccano dalle montagne, pezzetto su pezzetto…del danno ci si accorge solo dopo l’alluvione quando l’acqua non sta più dove prima aveva un letto comodissimo. Così succede. Avviene qualcosa che prima non avrebbe destato sospetti e improvvisamente diventa una tragedia e allora ti fermi a pensare e ti accorgi che quello che è cambiato è semplicemente il sentimento con cui hai misurato i fatti.
Io ti ho amato. Questo resta vero. E questo io ti prego di non dubitarlo mai. Perfino se il mio naso arrivasse a toccare il cielo nel momento stesso in cui pronuncio queste parole.Ti ho amato. Perché poi sia così dannatamente difficile mettere punti e andare a capo, capire che se noi non siamo infiniti, nulla di ciò che facciamo può esserlo e quindi tantomeno i sentimenti che proviamo, io non lo so. Sono certo però che la vita sia la peggiore imitazione possibile dell'arte…opera affrettata di un artista vecchio, con poca ambizione, un pessimo gusto del colore e scarsissima conoscenza di artifici retorici…

E non pensare che me la stia prendendo con Dio solo perché ora non ci amiamo più. La vita la fanno gli uomini attimo dopo attimo. E in questa nostra vita ci sono due persone ormai senza più coraggio né forza, che ad un certo punto hanno semplicemente smesso di guardare nella stessa direzione.

(da Velvet Golgotha, Darkene F. DiCembre)

venerdì 7 ottobre 2016

Estate, Autunno, Inverno e Primavera.

...Watch the road and memorize
This life that pass before my eyes
Nothing is going my way...

Settembre è galoppato via al suono di migliaia di farfalle che mi ribollono nello stomaco.
C'è nell'aria questo sentimento di trepidante adolescenza che parrebbe così dissonante dall'autunno incipiente e invece ci agita di una gioia agrodolce.
E' una cosa molto supernatural and superserious avere compiuto trenta e più anni  senza clamore e sentirsi pulsare di quei pomeriggi infiniti ad ascoltare musica ad occhi chiusi e a piangere di rabbia e amore per le cose che ci facevano impazzire, Keith Haring, i Bluvertigo, Oscar Wilde...
Mettiamo in ordine i pezzi.
Passa quest'estate assurdamente inutile nella quale i fatti più memorabili accaduti sono gli estenuanti match di volano e ping pong nel giardino di casa. Un tempo sospeso, di quelli ormai troppo frequenti, in un silenzio emotivo che serve a mettere distanze e punti da alcune cose deludenti e inutili accadute nell'ultimo paio di anni.
Un "senso di non partenza" che, un po' per caso, un po' per desiderio, accomuna tante belle anime della mia generazione e forse fa sentire  più vicine che mai le mie amiche-sorelle impantanate in vite che non avevano previsto e che soprattutto non avevano previsto di amare.
Poi mi sono messa a fare un po' di decluttering. A spostare tutti i mobili della casa. A togliere un sacco di polvere che mi si era incastrata dentro.
Mi sono anche fatta piantare in bocca pezzi di denti nuovi e luccicanti.
E ho scoperto che gli Afterhours avevano appena pubblicato un album dal titolo indicibile che è un musical sul cancro, sulla morte di un padre, sulla rinascita e sulla vita.
E così mentre Manuel Agnelli urlava il suo dolore io ho ripensato a questi ultimi 15 anni. Alla strada che mi ha portato dall'essere un'adolescente dark e sfacciata all'essere una donna così impaurita.
E ai 5 anni che sono passati da quella ferita che forse solo ora inizia rimarginarsi con forza,tirando e facendo prudere la pelle. Che sta lasciando una cicatrice enorme che porterò a vista per sempre. Ma che ha, forse, smesso di stillare sangue vivo e che finalmente posso guardare in quell'enorme specchio a figura intera così elegantemente shabby-chic che le mie amiche mi hanno regalato per questo strano compleanno.
Poi, per aggiungere un po' di panna alla torta, ho abbracciato uno sconosciuto con incredibili occhi azzurri e muscoli di quercia.
E Gus Van Sant è venuto a farsi un giro a Torino. E non c'è nessuno come Gus Van Sant che sappia raccontare che meravigliosa merda è l'adolescenza e che mi abbia raccontato così bene la mia. Mi sono ritrovata a guardarlo da vicino, a stringergli le mani, a piangere con le mie sorelle sugli occhi infiniti di River Phoenix, come quando riempivamo le pagine del diario con il suo nome. Ed è stato così strano anche questo.
Così ora me ne sto qui a lavorare sodo, a correre e sudare, a cantare a squarciagola, cercando di tirare un po' le redini di un lungo pezzo di storia di me che ho perduto.
Ho fatto un gran casino in questo post.
Sono alte onde che si agitano e che il gelo dell'inverno che scalpita alle porte cristallizzerà per farsi trovare pronti e indomabili dalla Primavera.


(il corsivo è tratto da Find The River dei R.E.M.)






martedì 13 settembre 2016

Fat Bottomed Girls

Ma io lo vado dicendo da una vita.
In questo paese essere grassi è come essere stranieri, disabili, malati, molto peggio che omosessuali.
In fondo lo straniero, il disabile, il malato, l'omosessuale non hanno colpa delle loro malefatte.
Il grasso invece...possibile che non riesca a togliersi quel panino al lardo da incollato alle mani?
I grassi sono diversi, sono pigri, non sanno controllarsi.
I grassi sono brutti, sono privi di volontà, sono insani.
E per fortuna che quasi sempre sono simpatici. Dio ci scampi da un grasso antipatico che poi magari si mette pure a piangerci addosso!
Poi un uomo, vabeh. Uomo de panza uomo de sostanza. Un uomo grasso probabilmente ha un lavoro importante che non può lasciare per andare in palestra. Un umo grasso non importa poi tanto, se riesce ad avere un bel portafogli, il carisma, la battuta pronta.
E' delle ragazze grasse che proprio non sappiamo che fare.
Ma stiamo scherzando? Una ragazza grassa rischia di non poter fare figli! E pensate se li facesse...sicuramente non saprebbe insegnare loro il valore del canone della bellezza!
Perché alle donne, in questo paese, è concessa anche la parità. Se sono il doppio sexy, il doppio disponibili, il doppio sorridenti e il doppio giovani possono essere quasi come gli uomini.
Non mi inerpicherò in un trattato di sociologia della povera patria.
L'equazione è così semplice da risultare quasi banale.
Più gli uomini hanno paura, più impongono un canone che li faccia sentire al sicuro.
E queste donne che occupano uno spazio così grande non le puoi ignorare. Non puoi fare finta di non vederle rinchiudendole nelle pubblicità, in abiti scuri simili ai tuoi, così che non ti sembrino nemmeno troppo donne, non ti confondano con il loro canto di sirena e ti permettano di continuare a tenere strette le redini del potere. Perché in fondo lo sai che non durerà molto. Che la Terra è donna è sta chiedendo il suo conto.
Nella mia vita ho conosciuto alcune ragazze grasse. E' vero, sono quasi sempre simpatiche. E colte. E sanno ascoltare. Sapete com'è...loro a 14 anni non avevano di meglio da fare  che stare chiuse in casa ad ascoltare musica, leggere, scrivere, al massimo consolare i loro amichetti delusi dalle ragazze magre. Spesso avevano madri che avevano lottato duramente perché una ceretta non fosse la misura del loro valore. E avevano brutti vestiti.
Le ragazze grasse sapevano di non poter sperare in un "buon matrimonio" e che se in quanto donne dovevano valere il doppio degli uomini in quanto donne grasse forse nemmeno il quadruplo sarebbe bastato.
Le ho viste crescere.
Le ho viste mangiare insalate di cetrioli tutti i giorni. Bere intrugli magici. Rinunciare al mare, alla piscina. Le ho viste piangere nei camerini dei negozi. Ho sentito uomini dire loro "se tu corrispondessi al mio ideale estetico...". E donne magre dire "dovresti impegnarti di più". Ho visto datori di lavoro asserire "cerchiamo persone più qualificate" per poi ridacchiare quanto le ragazze voltavano loro grossi sederi.
Quindi ora non venitemi a dire che siamo in un posto migliore perché 5 ragazze che Botticelli avrebbe definito perfette e che nulla hanno a che fare con una ragazza grassa, partecipano a Miss Italia.
Che poi mi pare abbia vinto la solita taglia 38 con la faccia da triglia, tra l'altro. Che indovinate un po'? Studia fashion marketing. Il carrozzone va avanti da sé.
E fortuna che le ragazze grasse rotolano, così in qualche modo al traguardo alla fine ci arrivano anche loro.


mercoledì 7 settembre 2016

Prière Païenne. Memories.

...E liberami dalle sterili lacrime,
dalle urla agghiaccianti,
dal sole,
dal vento,
dall'amore,
dalle facili e rozze passioni,
dagli aridi istinti che ci rendono simili a bestie,
dal sangue che mi ha sempre fatto schifo,
dal sonno,
dall'inutile accanirsi,
dal subitaneo contraddirsi...
liberami dal tuono,
dallo stupore infantile,
dalla meraviglia dello scoprire,
dall'immensità del silenzio,
dalla grandine,
dalla sabbia nei sandali,
dalla grandeur del sogno,
dalle notti senza fine...
liberami dalle morti che non ti spiega neanche Dio,
da questo Dio che non si tocca e non si vede,
dal terrore dell'errore,
dalla neve così troppo fredda,
dal sale fino,
dal "parlarsi con estrema sincerità",
dagli inganni malcelati...
liberami dal suono dei violini che mi ricorda te,
dal gracchiare delle rane nello stagno quando non te le aspetti,
dalle tende chiuse,
dalle identità coperte da uno schermo,
dal mare  troppo immenso,
dai laghi troppo piccoli,
dallo sfinirsi nel cercare,
dall'orrore del trovare quello che non ci si voleva aspettare,
dal pane non croccante,
dalle feste comandate...
liberami dai regali di Natale che non mi piacciono,
dalla brutta abitudine di sorridere poco,
dalle creme antirughe e antietà,
dalla musica che si ascolta senza parlare guardandosi negli occhi,
dalle piante finte,
dalle donne che odiano le rose,
dagli uomini che odiano i fiori,
dalle guerre,
dai tappetini antiscivolo che tanto poi scivolano loro direttamente,
dalle manifestazioni di piazza...
liberami dal sale dentro al mare,
dalla dolcezza del fiume,
dallo zafferano nel riso così innaturalmente giallo,
dagli amanti occasionali,
dai fazzoletti di carta superigienici,
da tutte le metafore che non trovo efficaci...
liberami dalla nebbia della mia pianura,
dalla rugiada delicata,
dal domani al quale non voglio pensare,
da chi pensa ad un domani che non avrà,
dalle analisi del sangue che mi fanno paura,
dalle donne che non ho avuto e mia nonna ancora non sa il perché,
dalla teoria dell'evoluzione che tanto non ci crederò mai,
dal calcio durante la settimana...
liberami dai pacifisti,
dalla rabbia,
dalla cattiveria infeconda,
dalla bontà forzata,
Liberami dai mostri di cartapesta a Carnevale,
dalle pubblicità progresso,
da tutto quello che dimentico e ricordo troppo tardi,
dal ridere incessante,
dai commessi antipatici,
dalla tappezzeria,
dalla lingua mal parlata
dalla lingua in salsa,
dalla salsa di pomodoro,
dai miei occhiali neri che uso per nascondere il dolore,
Liberami dall’inquietudine dei ricordi,
dal mal di denti,
dall’incertezza dell’eclissi,
dall’intellettualità dell’ozio,
dai colpi inaspettati della noia,
dal fondotinta che uso troppo,
dall’olio nauseabondo del tonno,
dal pensiero dell’assoluto che mi spacca la testa,
dall’anelito all’infinito,
dalla pioggia,
dai colori troppo accesi…
e infine,
se puoi,
ti prego,
Amore, 
liberami…
dal male.
Amen.



[da Che la Notte Ti Sia Lieve, Darkene F. DiCembre, Ed. Croce, 2008]

sabato 6 agosto 2016

#blastfromthepast


“Volevi qualcosa?”
“Solo sentirti”
 “Ok”
“E anche dirti che stasera magari vengo da te”
“Scusa, c'è il postino, devo andare”
“Ti amo”
 “Sì”
Capita così che finisca un amore.
Che ovviamente non c'è nessun postino alla porta. Che improvvisamente le due parole “Ti” e “amo” sembrano due sacchetti pieni di farina con un buco piccolissimo sul fondo, non si sa chi l'abbia fatto e come non ci sia mai accorti della sua esistenza, poi un giorno li guardi e sono vuoti e la farina è a terra, è ovunque. Ce n'è sul televisore dentro al quale sono passati i film che guardavate con i piedi sul tavolino e la coperta sulle ginocchia ridendo della vostra aria da bellissimi pensionati. Ce n'è, e tanta, nelle pentole dalla cucina, dove passavate le domeniche che ti erano concesse a sfidarvi, tu, indiscussa primadonna della pasta fatta in casa, lui, eroe dei dolci senza macchia e senza paura. E c’è uno strato sottile di farina sui suoi vestiti elegantissimi nell'armadio, i suoi profumi in bagno, i tuoi gioielli che sa scegliere come se ti leggesse nel pensiero...

Farina ormai sporca, da buttare. 

(Darkene F. DiCembre, Due pezzetti di mondo)

sabato 23 luglio 2016

Hopelessness

I, who curled in cave and moss
I, who gathered wood for fire
And tenderly embraced
How did I become a virus? 

E noi
Che abbiamo sfidato le parole
Noi che non abbassavamo mai la voce
Noi che ridevamo contro la notte
Come siamo diventati questi virus?
Quando è cominciata questa putrefazione
Che ora ci lascia la gola senza sete
E le pupille dilaniate?
Abbiamo seppellito i nostri morti senza smettere di cantare
Abbiamo porto l’altra guancia ad ogni sputo
Abbiamo sorriso in risposta a chi ringhiava
Come abbiamo perso la forza di stringere in mano le nostre ceneri?
Perché abbiamo abdicato al nostro regno del “domani è un altro giorno”?
Quando abbiamo smesso di credere che fosse ancora possibile?
Ti guardavo l’altra notte.
Danzavi come una Salomè che non attende più alcun bacio.
E io non riesco ad essere nemmeno triste
Perché non ricordo nulla di ieri, non ho niente da fare oggi e il domani puzza di frattaglie.

I don’t care much about you
I don’t give a shit what happens to you
Now we blew it all away


La nostra speranza è restare fermi a respirare.



Nota:
I corsivi sono tratti da Hopelessness di Anohni

giovedì 7 luglio 2016

Una Regina alla corte di Christian Dior

E così ci siamo.
Poche ore e si alzerà ufficialmente il sipario sul Nuovo Regno Dior, guidato per la prima volta da una donna, italiana.
Maria Grazia Chiuri lascia oggi Valentino, dopo 8 anni come co-direttore creativo e la notizia della sua ascesa alla Maison più importante di tutte non tarderà ad arrivare.
Sarà capace questa signora dalla classe straordinaria, che è riuscita a farsi amare da Valentino in persona e poi dal mondo intero, di prendere in mano lo scettro di Monsieur Dior e far tornare la magia in Avenue Montaigne?
E' un pensiero che fa venire i brividi.
Christian Dior e le sue straordinarie assistenti e premières hanno inventato quello che per il grande pubblico è il concetto di alta moda. Hanno disegnato, per primi, un sogno. A loro si deve molto del buono, ma non meno del cattivo, dell'immaginario femminile di gonne a ruota, vite strette, abiti degni delle principesse Disney.
Quando una bambina prende una matita in mano e si disegna, immaginandosi pronta "per il ballo della Vita" come dice la mia nipotina di 3 anni, inconsciamente, da qualche parte nel DNA, sta già immaginando un abito New Look.
Soprattutto per questo sarà straordinario vedere una donna, una donna che è riuscita, insieme ad un compagno di viaggio eccellente (che sarà altrettanto curioso vedere all'opera da solo) in un'impresa che sembrava nata per fallire, ovvero prendere le redini lasciate dall'Imperatore, ridefinire quell'immagine oggi pallida e sbiaditissima che resta nelle ceneri della Maison Dior.
Una casa di moda dalla storia difficile, una Medea che ha ucciso tutti i suoi figli, a partire da quel Christian che la fondò, passando per l'inquieto e giovanissimo Yves Saint Laurent, a quel genio che è stato Gianfranco Ferrè, al più visionario di tutti, John Galliano, fino ad arrivare alle nebbie e al doloroso addio di Raf Simons.
Nomi che fanno tremare i polsi, tra gli stilisti più grandi di sempre, che pur toccando vette altissime di bellezza, picchi che Monsieur Dior nemmeno si sarebbe sognato, sono caduti nella polvere di una Maison che è oggi uno dei più grandi colossi nel mondo della moda, con un fatturato che si aggira intorno ai due miliardi di euro annui, che nulla perdona lasciando ai suoi creativi poco tempo e ancor meno libertà.
Dior oggi è il sogno di chi fa i calcoli e pensa ai profitti, l'incubo di chi ama la moda e vede nella couture ancora il sogno e il tentativo di disegnare il futuro.
Maria Grazia Chiuri appproderà in una Parigi ancora spaventata e molto stanca, ravvivata soltanto dall'inesauribile talento proprio di quel John Galliano che da Avenue Montaigne è fuggito con disonore.
Anzi. Non a caso Maria Grazia Chiuri è già a Parigi, e proprio la sua Maison Valentino ha chiuso le sfilate di Haute Couture con una collezione semplicemente meravigliosa, una delle pochissime luci in questa settimana.
Mi auguro e auguro a tutti noi che questa nuova collaborazione si riveli altrettanto straordinaria.
Sono disposta addirittura a seppellire l'ascia di guerra, Monsieur Arnault.
Perché abbiamo così tanto bisogno di Bellezza. E di donne che ci indichino la strada.







mercoledì 6 luglio 2016

...frammento


E poi c'erano quei momenti in cui era felice. Così, inspiegabilmente. "È ovvio, ti avrà toccata un angelo". Non poteva esserci altra spiegazione e Carmen lo sapeva. Era quella felicità purissima capace di durare pochi attimi, che la prendeva al centro della testa e si spandeva come un sasso nell'acqua tra le sinapsi del suo cervello.  Era viva da poco più di trent'anni. E ancora non era riuscita ad isolare il principio di questa manciata di gloria. Sapeva solo che improvvisamente tutte le cose del mondo le diventavano chiare, il passato le sembrava necessario, il futuro pieno di luce e il presente una benedizione.Il sorriso di Tommaso, quel ristorante trovato per caso, tutte le cose belle che li aspettavano, perfino le carezze che Carmen non aveva mai avuto il coraggio di dare le parevano in quel momento una meraviglia da sgranare gli occhi."Dio, non ti pare tutto così perfetto ora?" Incapace com'era di trattenere qualsiasi tipo di emozione davanti a lui."È perfetto".Piccole lacrime calde potevano rigarle le guance per la potenza di quel ricordo.Nonostante il dopo. Nonostante tutto. E se non era quello Amore, si chiedeva a volte cercando di non rispondersi."Se non è questo Amore" chiedeva a lui, sperando che le rispondesse.Ma era scaltro Tommaso. Aveva imparato da tempo che ci sono esseri umani che scambiano le virgole per punti e i petali per primavere. E cercava di dosare con un una dolcezza che nemmeno gli apparteneva risposte fugaci a domande che, francamente, gli parevano inutili.

Se ne intravede, infine, la fine?

lunedì 20 giugno 2016

E la chiamano Estate...

Ma io vorrei il sole e i baci sulla spiaggia.
Che l'unico rumore fosse quello del mare.
E saper danzare leggiera con i granelli di sabbia che si incastrano fra le dita.
Profumare di caldo e di sale.
E fregarmene se è sconveniente, se non siamo abbastanza vestiti, se abbiamo troppo poco nero addosso.
Incuranti del grasso, dei peli superflui, dei capelli spettinati appiccicati alla faccia, degli anni che coltivano l'odio sulla mia faccia.
Io vorrei avere più sogni e soprattutto ancora un briciolo di voglia di inseguirli, come farei con quell'aquilone che sicuramente stringerei fra le mani, se fossi su una spiaggia e ci fosse il sole.
Vorrei guardarti e che i tuoi occhi mi bastassero.
E che tu mi guardassi e pensassi che fino a che io ti tengo le mani la vita è un posto meraviglioso.
E che dicessimo "per sempre" credendoci come fanno gli stupidi, che Dio li benedica.
Ma io sono una creatura della notte e dell'inverno.
Ho la brina sulla faccia e le mie mani a tenaglia distruggono qualsiasi alito di vita.
Questo mio piccolo mondo di paura si chiude su di me e spinge la mia testa sempre più in basso.
Forse dovrei sfruttare il vento freddo che arriva dalla città, come una piccola barca a vela
e scappare a cercare il mare, fregandomene della protezione solare.







venerdì 17 giugno 2016

Consapevolezze, Cenerentole e Taylor Swift

E così, in mezzo alle piogge, ci avviamo a passo spedito verso l'Estate delle Consapevolezze.
Non ricordo bene cosa dicesse il mio oroscopo in merito (il bello dell'oroscopo non è forse leggere, spalancare la bocca e subito dimenticare?) ma sicuramente aveva ragione.
Consapevolezza degli errori compiuti fino ad oggi e di quelli già fatti per l'immediato futuro. Consapevolezza dei rapporti finiti, eppure avevi giurato che sarebbe stato per sempre.
Consapevolezza del fatto che alla fine gli uomini, non importa quanto siano intelligenti o quanto tu possa donare amore incondizionato, sceglieranno sempre le Taylor Swift.

Non ci posso fare niente. Questa cosa mi tormenta. E non perché ami particolarmente Tom Hiddleston. E' solo che insomma, lui non è mica un Calvin Harris, o un Joe Jonas o un Harry Styles qualsiasi! Tom Hiddleston è inglese, ha fatto film con Jim Jarmush, Benicio Del Toro, Woody Allen...è amico di Cumberbatch!
Eppure finisce sempre così.
Vincono loro, le biondine sciacquate. Le "salvami salvami". Quelle con l'occhio vitreo e la vitalità di un polpo lessato ma...l'atavica intelligenza di cascarti morte fra le braccia.
Quel sottilissimo retaggio della femmina della specie, che non sa cacciare e morirebbe di fame nella caverna se il maschio alfa non arrivasse a soccorrerle grondante di sangue e sudore..
E siccome i maschi alfa si sono estinti con i dinosauri, gli uomini che ci ritroviamo fra i piedi, non importa quanto Shakespeare abbiano recitato, quanto stile abbiano, quanto è probabile che diventino il più sexy 007 di sempre, sono deboli giunchi terrorizzati dal sembrare froci.
Hanno una zona di materia grigia posta a metà fra il cuore e le ginocchia che dice "Vai! ha bisogno di te! Prendila fra le braccia e sarai un vero uomo!".
Niente da fare.
Mentre noi ci gongolavamo nel sogno di possedere scarpine trasparenti e topini parlanti loro tiravano sassi nel fiume. E quando li hanno finiti si sono guardati intorno e hanno trovato questo esercito di Cenerentole sceme che protendono le loro labbra a cuore e ottengono baci.
E tu cosa fai, nel frattempo?
Nonostante le tue lauree, Nietzsche e il femminismo urlato per strada?
Digiuni, fai gli squat, il balayage, ti spacchi le caviglie su tacchi sempre più alti.
Quando basterebbe metter su lo sguardo da triglia, piegare la testa di lato, parlare a voce bassa e...avere sempre capelli perfetti!
Stupide noi, sempre. Che poi li partoriamo e li cresciamo pure questi novelli Cuor di Leone.

Ovviamente questo avrebbe voluto essere un post serio. E fra le righe lo è perfino un po'.
E poi l'estate non è ancora arrivata. Fatemi fare ancora un po' di ordine fra i pensieri.



P.S.
Avete notato che Taylor e Cenerentola hanno i capelli dello stesso colore?

martedì 7 giugno 2016

5 anni


5 anni sono tanti se pensi a quanta fatica hai fatto per mettere un giorno in fila all'altro.
5 anni sono quasi nulla nell'economia di una vita.
5 anni di gente che è sparita, di tanti altri che sono arrivati.
5 anni di bimbi piccoli che a volte li abbracci e ti senti il re del mondo.
5 anni di città e viaggi.
5 anni di cose belle, di traguardi importanti, di scelte coraggiose.
5 anni di sogni che alla fine si sono infranti.
5 anni che ormai siamo tutti grandi.
5 anni che ci parliamo solo in sogno e tu sei sempre felice.
5 anni che io non sempre ho avuto rispetto di me stessa.
5 anni che ho provato a diventare più gentile.
5 anni che adesso coltiviamo i fiori e i pomodori.
5 anni che le bambine stanno bene, se sommi tutto, anche il fatto che bimbe non lo sono più.
5 anni che Sfinge ha i capelli rossi e vestiti bellissimi.
5 anni che se vedessi cosa stanno facendo a questo Paese.
5 anni che penso che potresti essere orgoglioso delle tue Piccole Donne.
5 anni che "saperti in volo è più importante".
Anche se manchi da togliere il fiato. Come se ne fossero passati 5000 di anni. Oppure 5 minuti.
A dire il vero non lo capisco mai.



martedì 10 maggio 2016

Jam session

Ricordi, mia Piccolo Principe occhi di giada, ricordi che un giorno, così tanti anni fa mi dicesti che avevi paura?
Io non rammento, a volte, il nome di persone appena incontrate. Ma i luoghi dove accadono le cose che vibrano, quelli non li scordo mai.
Eravamo in una stazione, la solita, brutta, stazione dei treni. Entravamo o uscivamo, va a sapere, andavamo chissà dove, in una delle nostre eterne peregrinazioni.
Tu mi hai guardata e mi hai detto:
"Ho paura. Non di evolvere e nemmeno di involvere. Ho paura di restare immobile".
Io so che sul momento non ci ho dato peso.
Mi pareva un eccesso, una nota di vezzo della tua anima in moto perpetuo.
Eppure tu forse nemmeno immagini quante volta io ci abbia pensato, da allora.
Quante volta sia tornata con la mente in quella stazione.
Immobile.
Io cammino sempre così tanto all'indietro che per quanti passi faccia in avanti poi mi ritrovo sempre allo stesso punto.
E chissà se tu ora che non mi dici più di cosa hai paura, continui a temere questo restare impantanati.
Io oggi lo so bene che cos'è.
E' l'innaturalità del peggiorare e la fatica del migliorare.
E la volontà di annullare ciò che è stato e la paura di concentrarsi su quello che potrebbe essere.
E' l'indugiare quando hai trovato un posto comodo.
Restare sulla porta del Casinò tenendo strette le fiches in mano tutta la notte.
E tornarci ogni giorno, a guardare gli altri che puntano una vita su un colore solo, ché tanto perderla una vita passata immobile sulla soglia è forse la cosa migliore che possa capitare.




lunedì 9 maggio 2016

La pioggia a Maggio

Benedetto sia questo Maggio di pioggia.
Perché a Maggio una volta c'era il sole.
C'era il sole quando sei uscito di casa.
C'era il sole quando nel cortile del "reparto intoccabili" e scambiavamo chiacchiere che ho dimenticato.
C'era il sole quando di nascosto ti portavo uno spritz con ghiaccio.
C'era il sole e tu hai chiamato per dirmi che mi volevi bene e io poi non ho sentito la tua voce mai più.
E così ogni anno da allora, ogni Maggio, tutto diventa più difficile.
E il primo sole bello ferisce caparbiamente la mia anima rattoppata con scotch di bassa qualità.

A volte guardo questa donna nello specchio.
Questo concentrato di nervi e sorrisi che sta provando lentamente e con dolore a diventare una donna.
E tra il tuo naso, i miei occhi color castagna, la tua bocca, le mie guance rosse, la tua follia, la mia rabbia io vedo ancora una bambina che amava giocare con le biglie.
Una bambina forte, testarda, bellissima.
Quella bambina che sapeva perfettamente dove il bene e il male si annidassero.
E non perdeva tempo a farsi ferire.
Piangeva un po' quando la pungevano le api, chissà perché accadeva così spesso...
Per il resto scuoteva il suo perfetto carré nero lucido...e rideva.

Benedetta sia questa pioggia di Maggio.
Che bagni e faccia crescere sana e forte quella bambina.
La bambina vestita di rosso al funerale del suo Papà.
E che infradici e faccia marcire insieme alle cose che vanno buttate quella strana adolescente piena di paura, che cerca gli occhi degli altri, che si è messa in mezzo per un tempo lunghissimo.


...saperti in volo è più importante. 


giovedì 28 aprile 2016

Lente operazioni di distacco

Anche la fine inizia in qualche modo.
Si avviano, dapprima ad un livello molto inconscio, poi in maniera sempre più evidente, lente operazioni di distacco.
Una parola in meno, un passo indietro, sorrisi sempre più radi.
E' come un allenamento: se ne fa un pezzetto al giorno.
E' lento ancor più del costruire questo togliere i mattoni uno ad uno.
Ma è necessario alla sopravvivenza.
Si potrebbe essere più drastici: correre con dell'esplosivo e far saltare in aria tutto con un grande boato.
Ma il rischio è che la polvere e l'odore di bruciato ti restino addosso per sempre.
Chi conosce il fuoco lo sa: lascia segni indelebili.
Oppure si potrebbe usare una di quelle grosse palle attaccate ad una gru.
Ma lascerebbe a terra una montagna di briciole, e anche con quella finiresti con il dover fare i conti.
Abbiamo bisogno di tempi lunghi.
Di respirare con lentezza.
Di riappropiarci della velocità del nostro cuore.
Ho scoperto che nel Medioevo non si demoliva nulla, si decostruiva, si manteneva il buono e si riutilizzava il resto.
Hanno cominciato a Parigi, maledetta, sempre lei, con questa moda di far saltare tutto in aria. Distrutto, polverizzato, dimenticato.
Eppure in ogni fibra del nostro corpo, dentro i muscoli, fra le vene, si annida il passato.
Da qualche parte nello stomaco c'è quella cena di compleanno, sotto i polpastrelli brandelli di carezze, tra l'incudine e il martello suona una canzone...
Non hanno ancora inventato una chemioterapia davvero selettiva, quindi qualsiasi attacco chimico rischia di sortire effetti peggiori del male.
E allora conviene fare così, con gesti lenti, gentili.
Lasciarsi le mani, cambiare strada, evitare gli occhi.
Poi un mattino ti alzi e il passato è sepolto sotto una coltre di neve. Si scioglierà, lo sai. Ma nel frattempo ha gelato tutto.
E tu puoi tornare a respirare.







venerdì 1 aprile 2016

Trappole per zanzare

Queste piccole trappole
Sono un esercizio di stile
Destinato a fallire nel momento in cui inizia
Come quasi tutte le cose degli uomini
Che tanto va bene lo stesso
Passatempi che dissetano a gocce un vuoto
Che è così voragine
Che nessun paracadute
Abbastanza grande
Mai
Potrebbe salvare
Ma poi guardi alla finestra
E in fondo è solo un giorno di pioggia
Fra un mese
Sarà passato
E tornerà, per lungo tempo
L'Estate.

giovedì 25 febbraio 2016

"Noi siamo qualcosa che questo stato riconosce". Quando il poco è comunque meglio di niente.

E quindi niente...ero arrabbiata e incattivita, volevo che cose molto brutte accadessero ad un sacco di gente seduta fra gli scranni di Palazzo Madama. Spremevo delle arance.
Poi mi sono fermata qualche secondo.
E mi sono messa a piangere.
Un po' era rabbia.
Ma un po' era commozione.
Perché da oggi anche in questo schifo di Paese chiunque pensi di voler condividere la sua vita con la persona che ama potrà apporre il proprio cognome al suo, potrà lasciare a lei la propria eredità e pensione, entrare insieme in un ospedale a testa alta.
Potrà dire "Noi siamo qualcosa che questo stato riconosce".
E' questo io credo sia qualcosa.
Qualcosa è molto poco, e sicuramente non è abbastanza.
Ma è qualcosa.
Oggi in questo schifo di Paese noi abbiamo assistito ad una delle più brutte pagine di politica. Abbiamo assistito alla prostituzione dei diritti sacrificati sull'altare di accordi degni della peggiore associazione a delinquere, abbiamo assistito all'incapacità di un Premier e di un governo che nessuno ha mai scelto di fare una riforma necessaria o anche solo di capire quali potessero essere i limiti accettabili da quel porcile che è il nostro Parlamento ed evitare di conseguenza una figura di merda colossale, abbiamo compreso appieno l'inconsistenza umana ancora prima che politica di chi dovrebbe guidare il nostro Stato, abbiamo scoperto una volta di più quanto piccoli e ignoranti possano essere gli uomini.
Eppure nonostante questo io mi sono commossa.
Ho tanta paura che questa breccia non aprirà ancora per molto tempo un varco.
Eppure io credo agli uomini.
E so che quando insinui una possibilità nella testa del persone stai aprendo nuove strade.
Questa legge è poca cosa, ma ha il merito di cominciare ad insinuare alcune possibilità.
Quella che per stare insieme il requisito sufficiente sia l'amore, e non il genere.
Quella che per stare insieme non sia necessario sposarsi.
Quella, e concedetemelo, perché è una delle cose che mi è più cara, che per stare insieme la fedeltà fisica sia un requisito legato alla volontà propria e non della legge.
Io voglio molto di più.
Io voglio che chiunque si ami possa fare un matrimonio, civile e anche religioso.
Io voglio che chiunque sia in grado di dare amore possa adottare un figlio, che sia sposato, single o perfino disabile.
Io voglio poter donare un ovulo a chi vuole un figlio più di me, o un utero, perfino.
Io voglio che nessuno mi chieda mai più se sono un maschio o una femmina e in base a questo definisca con cosa devo giocare, come mi devo vestire, quale bagno devo usare.
Oh, sì. Io voglio un sacco di cose.
Perché amo i diritti e amo la libertà, e credo che anche uno Stato dovrebbe farlo.
Prima o dopo avremo tutto questo, ne sono certa.
Oggi abbiamo solo questa piccola legge tutta zoppa e piena di cerotti, che è comunque qualcosa più del nulla che avevamo fino a ieri.



martedì 16 febbraio 2016

Come un’onda nel tempo...recensione.

Ho letto una cosa bella.
E vorrei parlarvene...
L'autore è Luca Meloni e io lo amo perché è un essere umano di un'intelligenza straordinaria...
Ed è un Poeta. Vero vero.
La sua raccolta "Come un'onda nel tempo" è una specie di pugno allo stomaco, ma di quelli che fanno bene.
Perché se tempo che passa è uno spettro logorante che costringe a fare i calcoli con la propria storia, è possibile mettere un punto e andare a capo nella speranza che quello che siamo stati ci offra una qualche forma di insegnamento per un futuro che, per natura, auspichiamo migliore?
Segno massimo della fine è il principio.
Luca Meloni non cerca e non offre risposte consolatorie. Ma prova, con forza, a mettere quel punto. E lo fa attraverso un’arte eterna: la poesia.
Una poesia che si fa racconto, in un susseguirsi di frammenti e microstorie che creano un corpus dolente che deve essere letto nel suo divenire e nella sua interezza per cogliere, appieno, quello che l’autore sottende: per diventare terra straniera il passato deve essere rivissuto, masticato, stanato in ogni luogo abbia cercato di nascondersi, in una caccia precisa perché ora è il risultato esatto di tutti i prima, e per andare avanti è necessario chiudere tutti i conti, nessuno escluso, e poco importa quanto male possa fare.
Come un’onda nel tempo è una storia di terra e di carne, un racconto vivo e sanguinante, un dialogo per una voce narrante che è un impasto di lingue e luoghi con un Tu muto e assente, che si staglia, lontano e gelido, ma vivo in ogni sillaba.
Una voce narrante che erra, tra Gaspara Stampa e James Joyce, il cinema e la cultura pop, in mille luoghi che non sono mai “casa”, vibranti di un sentimento di (non) appartenenza che caratterizza e fa da sfondo al fluire delle immagini, mentre Berlino è un’ombra e Bratislava un faro che si spegne.
Quello che resta addosso è la forza di un dolore che deve essere metabolizzato e trasformato, ritratto attraverso una lingua raffinata e immagini potenti, per non rischiare le lusinghe di una igienica paralisi dei sentimenti. Perché non è forse il nulla una forma di perfezione?

P.S.
Come un’onda nel tempo lo trovate qui, sul sito dell'editore, Eretica Edizioni.

N.d.A
I corsivi sono tratti dal Come un’onda nel tempo.




giovedì 11 febbraio 2016

Grazie Maestro.


Volevo dire solo questo.
Che il Maestro Ezio Bosso ieri ha messo un punto fermo che io sono sicura abbia cambiato qualcosa nella storia della televisione e nel cervello di 10 milioni di italiani.
Noi non siamo la nostra malattia, mai.
"Malato" è solo una delle tante caratteristiche che possiamo attribuirci, come "biondo", "grasso", "paziente".
Parole vuote, che non descrivono che qualcosa di molto superficiale.
Lo fanno spesso, ahimè, le parole.
Andare in televisione, davanti a milioni di persone, con il coraggio di non farsi appiattire dietro una parola sterile, è una cosa pazzesca.
Rendersi un modello desiderabile di vita, nonostante una parola che è un marchio d'infamia, perché la malattia è qualcosa che ci fa una paura fottuta, come qualsiasi forma di non omologazione al modello di ariana perfezione che ancora abbiamo stampato nel cervello, è un atto di rivoluzione di una bellezza straordinaria.
Grazie, Maestro.
Per essere così bello. E per averci fatto vedere che sì, l'Arte può salvare il mondo.
Grazie a nome di tutti i malati, nel corpo o nell'anima, i grassi, i neri, i froci...
Grazie per tutti i diversi che amano forte la Vita, nonostante tutto.

* foto da Tvblog.com

mercoledì 10 febbraio 2016

Sanremo, viva l'Italia.


Evvai che è iniziato Sanremo!
Il meraviglioso baraccone supertrash che celebra quanto di peggio (a volte anche di meglio, però) il Paese possa offrire, è partito.
Voi lo sapete, per me Sanremo è come il Natale. Anzi, ormai molto di più.
Non mi sono mai nascosta: a me piacciono i riti, amo i grandi spettacoli e invidio agli americani da sempre la straordinaria capacità di incorniciare e celebrare gli eventi.
Celebrare. Non c'è un verbo migliore.
Massimo rispetto per gli amanti del sobrio silenzio e del minimale a tutti i costi.
Il fatto che ci sia un programma televisivo che è un vero e proprio evento, che ancora tiene davanti allo schermo la metà della popolazione, domina i media e accende il gossip, che emoziona (almeno chi ci va) e mette, comunque vada, un punto fermo nella carriera di un artista, per me è sempre straordinario.
E poi l'ho capito molto bene ieri.
Ero con la mia piccola amica Aurora, 8 anni, davanti alla TV e guardavamo quella splendida carrellata di vincitori dalla prima edizione ad oggi. Lei sgranava gli occhi e commentava: "ma perché si vede in bianco e nero? Ma guarda come muovevano le braccia per cantare! Ma che capelli avevano?". E sì. Sanremo racconta una storia, che volente o meno, è la nostra.
Una microstoria, forse. Quella del costume e delle parole d'amore. Ma quanta vita passa fra quegli abiti e quei ritornelli sdolcinati.

Finito il panegirico vi dirò che ieri non ho salvato quasi nulla. Ma che importa?
Le canzoni mi sembrano tutte brutte.
Arisa con il maglioncino del club dello knitting, Debora Iurato che fa delle facce improponibili, Madalina Ghenea travestita da Moira Orfei, Garko che sembra uno spot per la salvaguardia dei bambolotti (che con la minaccia del mostro del gender, in effetti, il bisogno c'è!), Aldo-Giovanni e Co. noiosissimi, Conti che è la cosa più oscena che il paese abbia proposto dopo Matteo Renzi ma comunque prima di Berlusconi, ritmo inesistente, autori da mandare al rogo.

Salvo quegli splendidi nastrini rainbow, la bellezza eterna di Andy dei Bluvertigo e del suo completo color pavone (perfetto, da sempre e per sempre), Elton che è un artista semplicemente immenso (se non siete mai stati ad un suo concerto rimediate, perché è uno spettacolo pazzesco e perché ormai ci è rimasto solo lui), l'omaggio a Bowie, più che doverosissimo, e la pubblicità dei mutui dell'Unicredit, che mi è sembrata interessante, la proposta, non lo spot in sé.

Simbolo della serata: Laurona Pausini. Che credo somigli in modo eccellente all'italiano contemporaneo: un po' troppo accento, una bellezza che si aggiusta bene con il trucco, abito improponibile ma pur sempre dal taglio sartoriale, urla come una matta parole di una banalità assordante piene di buoni sentimenti di facile smercio.
Sua anche la frase più politica di tutta la serata, semplice, d'effetto, sufficientemente priva di senso: se siamo simili siamo tutti uguali e dobbiamo proteggerci e non dividerci.

Viva l'Italia.
Viva Sanremo.
E dai, che stasera arriva Patti Pravo.





venerdì 29 gennaio 2016

Galliano e Margiela, lezione d'arte e di futuro.

A volte ho dei momenti di chiarezza così lucidi. Attimi in cui la verità si svela e riesco a cogliere un lampo del futuro.
Mi è successo un paio di giorni fa vedendo sfilare la collezioni di haute couture di John Galliano per la Maison Margiela.
Misero chi guardando un abito vede solo un abito, magari anche difficile da portare.
Ormai lo sapete, quando parliamo di Galliano parliamo di un artista e un visionario vero. Un uomo capace di mettere dentro un solo vestito la Storia e una storia.
Che invidia ho sempre provato per gli artisti figurativi. Per chi sa condensare in un immagine milioni di parole. Mentre io devo stare qui a battere su una tastiera concetti e lettere dannatamente imperfetti.
Quando basterebbero una cascata di stelle che cadono sugli occhi di una fata dai lunghi capelli arancioni, bocche disegnate sulla gola muta, broccati antichi che prendono vita e forma da un bomber oversize, dettagli che sono gioielli incastonati nelle cinture come medaglie al valore, fulmini che irrompono sul bianco immacolato di tailleur che sembrano tagliati con il laser.
Ma questa è mera descrizione. E la meraviglia non si descrive.
Ogni abito è diverso dall'altro in un dialogo che è insieme schizofrenico quanto estremamente coerente. Un po' come la vita.
Galliano parla della sua storia personale e di quella della Maison che guida, ma allo stesso tempo parla di noi e a noi.
Di un futuro che non può mai prescindere dalla conoscenza del sé più profondo.
Perché se sulla sua passerella sembrano sfilare alieni avveniristici, queste creature mitiche sembrano somigliarci parecchio. Hanno addosso abiti rivoltati dall'interno...come se le loro anime fatte di camicie sartoriali e tessuti barocchi, o di quella brutta maglietta a righe che conserva ancora l'odore dell'abbraccio di tuo padre, le avessero tatuate dentro le viscere, e le esibissero, perché si rinasce ogni giorno, è vero, ma rielaborando pezzi di ciò che siamo stati. Da lì non si sfugge.
Nulla si crea e nulla si distrugge, è la lezione che John continua a darci, con estrema precisione, tenendo i fili della storia come un abilissimo narratore, in questo racconto d'arte che a suo modo è anche un thriller, capace di tenerci con il fiato sospeso fino al prossimo capitolo.
Potrei parlarne per ore...
Dei colori, di Bowie che vive in ogni passo, della Piaf che, eterna, canta.
Di quella assenza alla fine della sfilata, che ormai lo sai, ma fa un po' male ogni volta.
Della grandezza di Pat McGrath che Raffaello toglie il cappello ogni volta che la vede.
Di Alexis Roche, che oltre ad essere un uomo di una bellezza e una gentilezza che non sono di questo mondo, è un artista vero. E al quale per tanti motivi che non starò a dire, dobbiamo l'Arte quanto la Vita di John Galliano.
Ma le parole sono solo parole.
Quello che vorrei è che un giorno venisse dato a quelli come John Galliano, non sono molti, il posto nella storia che meritano.
Quello dei grandi artisti che hanno disegnato il mondo.

Guarda la collezione...



sabato 23 gennaio 2016

#Svegliatitalia, può l'Amore non essere abbastanza?

Lo sanno tutti, io non amo le manifestazioni.
Non mi piace vedere troppe persone nello stesso luogo, non so come ci si vesta, odio i cori e gli slogan.
Ma oggi è il 23 gennaio.
Oggi si manifesta, che ci piaccia o no.
Perché oggi ognuno di noi è chiamato ad essere presente in nome della sua libertà.
Perché una legge sulle unioni civili è una legge che tocca ognuno di noi.
Perché quando un paese fa un passo avanti, in questo caso un gigantesco passo avanti, su un tema come i DIRITTI, quel giorno abbiamo vinto TUTTI.
Abbiamo vinto diritti, abbiamo vinto civiltà...ma a chi può fare paura questo?
Chi può dirsi scontento il giorno in cui il suo Paese diventa un posto migliore?
Il giorno in cui lo Stato decide che i suoi cittadini sono tutti uguali davanti, attenzione, ad una istituzione come l'Amore?
E lo sanno tutti.
Che io non credo nelle manifestazioni almeno quanto non credo nell'unione di due persone.
Ma quale grande fortuna che al mondo non esista solo io!
E che in questo Paese, il nostro povero Paese, già così vituperato dalla totale sfiducia nel futuro, ci siano ancora migliaia di coraggiosi Don Chisciotte pronti a mettere una firma per dire:
Stato, io e questo altro essere umano siamo una famiglia.
E siamo una famiglia per un motivo purissimo e incredibilmente semplice: perché ci amiamo.
PERCHE' CI AMIAMO.
Al di là di quello che abbiamo fra le gambe, e che mi pare un po' poco per distinguere il mondo in due categorie, al di là della possibilità o meno che arrivino ad aumentare la nostra gioia (e la nostra insonnia) figli, cani o nipoti, al di là di un giuramento, ma quale obsoleta idea è poi un giuramento? Non insegniamo forse ai bambini a non giurare?
Al di là di tutto quanto non ci distingue e non ci rappresenta, noi siamo una famiglia perché ci amiamo.
Ma quale altro presupposto dovrebbe servire?
Può l'Amore non essere abbastanza?

#svegliatitalia, perché manchi solo tu.
Perché la libertà serve più del pane. E questo non dovremmo dimenticarlo mai.







mercoledì 20 gennaio 2016

Di Berlino e Bowie, e delle cose di cui siamo fatti.

Eravamo atterrate in una Berlino di metà agosto, e io ogni volta che atterro in un paese straniero mi metto un po' a piangere. E Berlino poi...era il posto dove dovevi essere ma che pensavi per natura di non poter amare.
Il tempo di lasciare una valigia, innamorarti dei finti soldati biondi di Checkpoint Charlie, costeggiare quella strana cosa che si chiamava "Topografia del Terrore" e che vi era sembrata da subito una felice sintesi di molte cose, e poi arrivare alla meta. Al cospetto degli enormi occhi alieni di Bowie che ci fissavano dall'alto di un manifesto. Di quella manciata di ore in sua compagnia che ci hanno in qualche modo, io credo, cambiato la vita.
Non ho mai scritto di Berlino. Anche se mi ha schiaffeggiato e innamorato come solo Londra a 18 anni aveva saputo fare. Ma a 18 anni era tanto più facile. E Londra gioca sempre con un mazzo truccato.

Eppure l'altra mattina mi è stato tutto chiaro.
Il Duca è partito per il suo viaggio di ritorno a casa.
E io sono orfana un'altra volta.
Ho imparato molto presto che il Dio dell'Universo, Inventore di tutto ciò che esiste e Padre di ogni sentimento, ogni tanto manda a queste latitudini qualcuno dei suoi Messaggeri. Cascano sulla Terra così, ma lo capisci subito che con la Terra non hanno nulla a che fare.
Mio Padre per esempio. Un'entità portatrice di luce, composta al 100% di bene.
David Bowie, che ha inventato il Suono.
Io ho sempre pensato che Bowie fosse l'uomo più bello che avesse mai camminato su questo pianeta. Era il Piccolo Principe diventato grande. La garanzia che la musica poteva renderci migliori.
E noi prendiamo ossigeno da questi Grandi, ci facciamo tenere la mano fino a che possiamo, e dovremmo essere grati di averli scovati molto più di quanto siamo terrificati dalla loro partenza.

Ho parlato di Berlino perché per me Berlino è Bowie.
Berlino è il futuro atterrato nel presente, e tu la guardi e non la capisci, ma sai che ti sta dicendo qualcosa di te che prima o poi ti salverà la vita.
Berlino ha delle strade enormi che ti accompagnano ovunque tu voglia andare, che non ti permettono di perderti, ma che allo stesso modo potrebbero affogarti.
Dentro Berlino ci sono la Grecia e l'America. La Poesia e l'Orrore, un freddo che ti attanaglia e uan coperta sempre pronta sulle sedie dei bar.
Berlino ha un occhio azzurro e uno castano.

Allora ho scritto questo post un po' confuso per dire che Bowie mi manca. E che le cose che ti somigliano e di cui sei fatto restano tue per sempre. Che siano uomini, Angeli o città.

E io continuerò a fare casino con il Maggiore Tom.
Perchè ovunque egli sia possiede un pezzo di me.


martedì 5 gennaio 2016

Let 2016 be...

Il 2016 è appena cominciato e ho già fatto tanti di quei buoni propositi che sono già in preda ad un annoiato panico.
Con buona approssimazione diciamo che auspico che nel 2016 possa accadere tutto quello che non è accaduto nei precedenti 31 anni della mia vita.
Quindi...devo perdere quei famigerati chili, diventare più attiva e vitale, trovare il Principe Azzurro, imparare a: guidare, stare da sola per più di un paio d'ore di seguito, essere meno gelosa, sforzarmi di capire di più gli altri. In generale togliermi un po' di paura. Leggere di più e guardare più film.
Lavorare di più. Guadagnare di più. Andare al mare. Abbracciare le persone ogni tanto.
E poi scrivere.
Scrivere.
Scrivere.
Finire Velvet Golgota.
Iniziare il mio saggio.
Mettere in pista su solide ruote alcuni progetti a cui tengo molto.
Ho bisogno di coraggio, forza di volontà e fortuna.
Tutte doti che mi difettano ma...nel 2016 si cambia, no?
E andiamo...