martedì 10 maggio 2016

Jam session

Ricordi, mia Piccolo Principe occhi di giada, ricordi che un giorno, così tanti anni fa mi dicesti che avevi paura?
Io non rammento, a volte, il nome di persone appena incontrate. Ma i luoghi dove accadono le cose che vibrano, quelli non li scordo mai.
Eravamo in una stazione, la solita, brutta, stazione dei treni. Entravamo o uscivamo, va a sapere, andavamo chissà dove, in una delle nostre eterne peregrinazioni.
Tu mi hai guardata e mi hai detto:
"Ho paura. Non di evolvere e nemmeno di involvere. Ho paura di restare immobile".
Io so che sul momento non ci ho dato peso.
Mi pareva un eccesso, una nota di vezzo della tua anima in moto perpetuo.
Eppure tu forse nemmeno immagini quante volta io ci abbia pensato, da allora.
Quante volta sia tornata con la mente in quella stazione.
Immobile.
Io cammino sempre così tanto all'indietro che per quanti passi faccia in avanti poi mi ritrovo sempre allo stesso punto.
E chissà se tu ora che non mi dici più di cosa hai paura, continui a temere questo restare impantanati.
Io oggi lo so bene che cos'è.
E' l'innaturalità del peggiorare e la fatica del migliorare.
E la volontà di annullare ciò che è stato e la paura di concentrarsi su quello che potrebbe essere.
E' l'indugiare quando hai trovato un posto comodo.
Restare sulla porta del Casinò tenendo strette le fiches in mano tutta la notte.
E tornarci ogni giorno, a guardare gli altri che puntano una vita su un colore solo, ché tanto perderla una vita passata immobile sulla soglia è forse la cosa migliore che possa capitare.




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