mercoledì 10 febbraio 2016

Sanremo, viva l'Italia.


Evvai che è iniziato Sanremo!
Il meraviglioso baraccone supertrash che celebra quanto di peggio (a volte anche di meglio, però) il Paese possa offrire, è partito.
Voi lo sapete, per me Sanremo è come il Natale. Anzi, ormai molto di più.
Non mi sono mai nascosta: a me piacciono i riti, amo i grandi spettacoli e invidio agli americani da sempre la straordinaria capacità di incorniciare e celebrare gli eventi.
Celebrare. Non c'è un verbo migliore.
Massimo rispetto per gli amanti del sobrio silenzio e del minimale a tutti i costi.
Il fatto che ci sia un programma televisivo che è un vero e proprio evento, che ancora tiene davanti allo schermo la metà della popolazione, domina i media e accende il gossip, che emoziona (almeno chi ci va) e mette, comunque vada, un punto fermo nella carriera di un artista, per me è sempre straordinario.
E poi l'ho capito molto bene ieri.
Ero con la mia piccola amica Aurora, 8 anni, davanti alla TV e guardavamo quella splendida carrellata di vincitori dalla prima edizione ad oggi. Lei sgranava gli occhi e commentava: "ma perché si vede in bianco e nero? Ma guarda come muovevano le braccia per cantare! Ma che capelli avevano?". E sì. Sanremo racconta una storia, che volente o meno, è la nostra.
Una microstoria, forse. Quella del costume e delle parole d'amore. Ma quanta vita passa fra quegli abiti e quei ritornelli sdolcinati.

Finito il panegirico vi dirò che ieri non ho salvato quasi nulla. Ma che importa?
Le canzoni mi sembrano tutte brutte.
Arisa con il maglioncino del club dello knitting, Debora Iurato che fa delle facce improponibili, Madalina Ghenea travestita da Moira Orfei, Garko che sembra uno spot per la salvaguardia dei bambolotti (che con la minaccia del mostro del gender, in effetti, il bisogno c'è!), Aldo-Giovanni e Co. noiosissimi, Conti che è la cosa più oscena che il paese abbia proposto dopo Matteo Renzi ma comunque prima di Berlusconi, ritmo inesistente, autori da mandare al rogo.

Salvo quegli splendidi nastrini rainbow, la bellezza eterna di Andy dei Bluvertigo e del suo completo color pavone (perfetto, da sempre e per sempre), Elton che è un artista semplicemente immenso (se non siete mai stati ad un suo concerto rimediate, perché è uno spettacolo pazzesco e perché ormai ci è rimasto solo lui), l'omaggio a Bowie, più che doverosissimo, e la pubblicità dei mutui dell'Unicredit, che mi è sembrata interessante, la proposta, non lo spot in sé.

Simbolo della serata: Laurona Pausini. Che credo somigli in modo eccellente all'italiano contemporaneo: un po' troppo accento, una bellezza che si aggiusta bene con il trucco, abito improponibile ma pur sempre dal taglio sartoriale, urla come una matta parole di una banalità assordante piene di buoni sentimenti di facile smercio.
Sua anche la frase più politica di tutta la serata, semplice, d'effetto, sufficientemente priva di senso: se siamo simili siamo tutti uguali e dobbiamo proteggerci e non dividerci.

Viva l'Italia.
Viva Sanremo.
E dai, che stasera arriva Patti Pravo.





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