C'è una parola che amo molto e uso spesso.
Orgoglio.
Di solito sta ai primi posti nell'elenco sei miei difetti, se chiedi di me. Lo diceva anche mio padre.
Però orgoglio per me è una un concetto dal significato altissimo.
Significa "stare in contatto con se stessi", portarsi scritto addosso passato-presente-sogni, essere Me-Me-Me in ogni mio gesto. E poi rispetto, anche.
Io porto il mio orgoglio nei miei gesti carnevaleschi, in quell'essere un po' cagacazzo, nella bigiotteria vistosa, nei miei abiti neri, nella pelle che si androgenizza, nelle persone che spariscono dalla mia vita e in quelle che si materializzano, negli occhi, soprattutto. Eccetera, eccetera, eccetera.
E poi c'è l'Arte.
Che è vera solo se diventa lo stendardo del proprio orgoglio.
Bene. Quando io vedo Riccardo Tisci, la sua faccia, la sua arte... penso alla mia idea di orgoglio.
E forse sarà anche perchè parla la mia lingua, sarà per quelle Madonne affrante, i tatuaggi dei suoi uomini, la pelle delle gonne, il rifiuto della gabbia dei generi, sarà che combattiamo le stesse battaglie, che i suoi amici sono persone a cui stringerei volentieri la mano, sarà quel nero così vero, o l'anima un po' barocca...sarà quel che sarà, ma io ti devo un pezzo di cuore Mr.Tisci.
Stavamo ferme davanti ad una grande foto di Karl Lagerfeld contemplando gli occhi di Tisci quando Ambra mi ha detto: le vedi le radici?
E come no.
Quanta Puglia, quanta terra e insieme quanta strada, quanto mondo.
Quando fra mille milioni di anni i mitici marziani troveranno un abito, o una foto di una campagna, o una qualsiasi cosa di Givenchy by Riccardo Tisci sapranno tutto di noi.
Sapranno il meglio.
Sapranno che il mare ti resta appiccicato alla pelle, sapranno che abbiamo provato molto dolore e che per questo siamo diventati di roccia. Che abbiamo combattuto infinite battaglie contro la nostra stessa paura, e che non sempre le abbiamo vinte. Sapranno che abbiamo costruito "infinite cose deliziose" e che ne abbiamo distrutte, con lo stesso ardore, almeno altrettante.
Sapranno questo e molto altro.
Sapranno cosa davvero sia un uomo e quale enorme e meraviglioso sentimento sia l'Orgoglio.
Esagero?
E allora voi date un'occhiata a questo, come se foste quei marziani però...
Givenchy for Barneys
lunedì 29 aprile 2013
venerdì 5 aprile 2013
E riderò perchè quel giorno tutti ridono...
A te, Piccolo Grande Pagliaccio...
Ti ho incontrata nascosta dentro una pancia che ero soltanto un piccolo diavoletto con il caschetto nero.
Che a malapena stavi seduta tra i cuscini del divano.
Una valigetta piena di pentolini nel cortile della Tere.
A chiedere caramelle in cambio di canzoni stonate.
E le feste di compleanno, quando bastava immergere la testa per pescare un limone.
Quelle estati senza fine che era tutto un Risiko su e giù per le nostre colline.
A tirare dadi per indovinare il futuro.
"Come farò...sola così" ci urlavamo sotto un lampione.
Ho dormito sul tuo divano quella notte che il fuoco si stava portando via tutto.
E mangiato quante volte al tuo tavolo, la purea, la pizza e il pesce spada.
E poi le Barbie e le sfilate, i lego e la spesa della scuola..
Abbiamo avuto un sacco di risate e molte meno lacrime.
Io, Te, Bimbi.
In una foto facciamo le linguacce...in un altra tu porti un bianco saio, io i miei brutti occhiali e la piccola ha un coniglietto in braccio.
Domani ti sposi.
Avremo tante altre foto da fare, una vita di montegne russe lì ad attenderci.
Tu ridi sempre Pagliaccio, ascolta solo chi ti ama e sii felice.
Perchè dentro gli occhi noi saremo noi per sempre...Kimbo, Lavazza e Caffè.
In una parola: Sorelle.
Ti ho incontrata nascosta dentro una pancia che ero soltanto un piccolo diavoletto con il caschetto nero.
Che a malapena stavi seduta tra i cuscini del divano.
Una valigetta piena di pentolini nel cortile della Tere.
A chiedere caramelle in cambio di canzoni stonate.
E le feste di compleanno, quando bastava immergere la testa per pescare un limone.
Quelle estati senza fine che era tutto un Risiko su e giù per le nostre colline.
A tirare dadi per indovinare il futuro.
"Come farò...sola così" ci urlavamo sotto un lampione.
Ho dormito sul tuo divano quella notte che il fuoco si stava portando via tutto.
E mangiato quante volte al tuo tavolo, la purea, la pizza e il pesce spada.
E poi le Barbie e le sfilate, i lego e la spesa della scuola..
Abbiamo avuto un sacco di risate e molte meno lacrime.
Io, Te, Bimbi.
In una foto facciamo le linguacce...in un altra tu porti un bianco saio, io i miei brutti occhiali e la piccola ha un coniglietto in braccio.
Domani ti sposi.
Avremo tante altre foto da fare, una vita di montegne russe lì ad attenderci.
Tu ridi sempre Pagliaccio, ascolta solo chi ti ama e sii felice.
Perchè dentro gli occhi noi saremo noi per sempre...Kimbo, Lavazza e Caffè.
In una parola: Sorelle.
giovedì 4 aprile 2013
Un paio di settimane fa Lee avrebbe compiuto gli anni...
" Ciao Lee...
Come un fulmine a ciel sereno. E' un'espressione semplice
che rende pazzescamente l'idea di quello che vuole dire. Tu te ne stavi seduto
su un prato a leggere godendoti il sole, ed ecco, un fulmine squarcia l'aria e
devi correre via, perché il presagio è chiaro. In un attimo il corso della
giornata cambia e può anche non essere una tragedia, per carità, eppure devi
sederti vicino alla finestra e rifare tutti i conti che erano scontati.
Mi è arrivata così, come un fulmine a ciel sereno, la notizia
della morte di Lee McQueen, alias Alexander, un ragazzaccio con la faccia da
schiaffi che amava salterellare per le passerelle di moda del mondo.
La retorica della morte è qualcosa di estremamente complesso
e difficile da dipanare...scappa sempre la parola di troppo, il lamento fuori
posto, l'ovvio frasario al quale ci appigliamo quando il nostro cervello si
rifiuta di costruire un pensiero preciso, perché ci sono delle robe che fanno
troppo male ed è facile che siano proprio quelle che non si sanno spiegare.
Un artista che se ne va, che sceglie di farlo in un modo
atroce, portandosi via una valigia di talento e puro genio e un sacco di nostri
sogni, per esempio è una cosa che fa troppo male.
E allora non la si può spiegare.
Alexander McQueen era un artista straordinario.
Sapeva perfettamente cosa dire del mondo. Era un poeta
dell'ora e qui capace di offrire una prospettiva diabolicamente esatta di
quello che stava accadendo. E questo lo diciamo ad alta voce alla faccia di chi
ancora sputa nel piatto della moda etichettandola come mondo vano e di scarsa
utilità. In quegli spettacoli a 360 gradi che erano i suoi show potevi leggere
a chiare lettere tutte le contraddizioni di questo tempo fragile come un velo,
le speranze accartocciate in una gonna di un futuro che brucia, le paure
collezionate e incastonate come preziosi gioielli sul décolleté.
Ma soprattutto Lee, come lo chiamavano gli amici, bando alle
giustificazioni di sorta, era un Creatore di Bellezza.
E la Bellezza non ha bisogno di spiegazioni né tantomeno di
giustificazioni. Mai. Quindi ci attacchiamo a quello che di Mr. McQueen ci
resta...questo mucchio di Bellezza.
Nuvole bianche che diventano abiti, scarpe scolpite, lacci,
nastri, pelle nera lucidissima, performance spettacolari, trucchi magici,
colori mirabolanti e bianconeri laceranti.
Questo piangiamo noi oggi. Un pezzo di Bellezza che ci è
stato tolto.
Pierre Bergè disse di Mr. Yves Saint
Laurent: << He was an artist >>.
E' una cosa semplice ed evidente. La più vera che mi venga
in mente.
Ciao Lee.
Possa tu trovare la pace che meriti.
Chissà che belli saranno ora gli angeli.
Noi da qui continueremo ad ammantarci di teschi.
Ma probabilmente smetteremo di sorriderne. "
Febbraio 2010
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