martedì 16 febbraio 2016

Come un’onda nel tempo...recensione.

Ho letto una cosa bella.
E vorrei parlarvene...
L'autore è Luca Meloni e io lo amo perché è un essere umano di un'intelligenza straordinaria...
Ed è un Poeta. Vero vero.
La sua raccolta "Come un'onda nel tempo" è una specie di pugno allo stomaco, ma di quelli che fanno bene.
Perché se tempo che passa è uno spettro logorante che costringe a fare i calcoli con la propria storia, è possibile mettere un punto e andare a capo nella speranza che quello che siamo stati ci offra una qualche forma di insegnamento per un futuro che, per natura, auspichiamo migliore?
Segno massimo della fine è il principio.
Luca Meloni non cerca e non offre risposte consolatorie. Ma prova, con forza, a mettere quel punto. E lo fa attraverso un’arte eterna: la poesia.
Una poesia che si fa racconto, in un susseguirsi di frammenti e microstorie che creano un corpus dolente che deve essere letto nel suo divenire e nella sua interezza per cogliere, appieno, quello che l’autore sottende: per diventare terra straniera il passato deve essere rivissuto, masticato, stanato in ogni luogo abbia cercato di nascondersi, in una caccia precisa perché ora è il risultato esatto di tutti i prima, e per andare avanti è necessario chiudere tutti i conti, nessuno escluso, e poco importa quanto male possa fare.
Come un’onda nel tempo è una storia di terra e di carne, un racconto vivo e sanguinante, un dialogo per una voce narrante che è un impasto di lingue e luoghi con un Tu muto e assente, che si staglia, lontano e gelido, ma vivo in ogni sillaba.
Una voce narrante che erra, tra Gaspara Stampa e James Joyce, il cinema e la cultura pop, in mille luoghi che non sono mai “casa”, vibranti di un sentimento di (non) appartenenza che caratterizza e fa da sfondo al fluire delle immagini, mentre Berlino è un’ombra e Bratislava un faro che si spegne.
Quello che resta addosso è la forza di un dolore che deve essere metabolizzato e trasformato, ritratto attraverso una lingua raffinata e immagini potenti, per non rischiare le lusinghe di una igienica paralisi dei sentimenti. Perché non è forse il nulla una forma di perfezione?

P.S.
Come un’onda nel tempo lo trovate qui, sul sito dell'editore, Eretica Edizioni.

N.d.A
I corsivi sono tratti dal Come un’onda nel tempo.




giovedì 11 febbraio 2016

Grazie Maestro.


Volevo dire solo questo.
Che il Maestro Ezio Bosso ieri ha messo un punto fermo che io sono sicura abbia cambiato qualcosa nella storia della televisione e nel cervello di 10 milioni di italiani.
Noi non siamo la nostra malattia, mai.
"Malato" è solo una delle tante caratteristiche che possiamo attribuirci, come "biondo", "grasso", "paziente".
Parole vuote, che non descrivono che qualcosa di molto superficiale.
Lo fanno spesso, ahimè, le parole.
Andare in televisione, davanti a milioni di persone, con il coraggio di non farsi appiattire dietro una parola sterile, è una cosa pazzesca.
Rendersi un modello desiderabile di vita, nonostante una parola che è un marchio d'infamia, perché la malattia è qualcosa che ci fa una paura fottuta, come qualsiasi forma di non omologazione al modello di ariana perfezione che ancora abbiamo stampato nel cervello, è un atto di rivoluzione di una bellezza straordinaria.
Grazie, Maestro.
Per essere così bello. E per averci fatto vedere che sì, l'Arte può salvare il mondo.
Grazie a nome di tutti i malati, nel corpo o nell'anima, i grassi, i neri, i froci...
Grazie per tutti i diversi che amano forte la Vita, nonostante tutto.

* foto da Tvblog.com

mercoledì 10 febbraio 2016

Sanremo, viva l'Italia.


Evvai che è iniziato Sanremo!
Il meraviglioso baraccone supertrash che celebra quanto di peggio (a volte anche di meglio, però) il Paese possa offrire, è partito.
Voi lo sapete, per me Sanremo è come il Natale. Anzi, ormai molto di più.
Non mi sono mai nascosta: a me piacciono i riti, amo i grandi spettacoli e invidio agli americani da sempre la straordinaria capacità di incorniciare e celebrare gli eventi.
Celebrare. Non c'è un verbo migliore.
Massimo rispetto per gli amanti del sobrio silenzio e del minimale a tutti i costi.
Il fatto che ci sia un programma televisivo che è un vero e proprio evento, che ancora tiene davanti allo schermo la metà della popolazione, domina i media e accende il gossip, che emoziona (almeno chi ci va) e mette, comunque vada, un punto fermo nella carriera di un artista, per me è sempre straordinario.
E poi l'ho capito molto bene ieri.
Ero con la mia piccola amica Aurora, 8 anni, davanti alla TV e guardavamo quella splendida carrellata di vincitori dalla prima edizione ad oggi. Lei sgranava gli occhi e commentava: "ma perché si vede in bianco e nero? Ma guarda come muovevano le braccia per cantare! Ma che capelli avevano?". E sì. Sanremo racconta una storia, che volente o meno, è la nostra.
Una microstoria, forse. Quella del costume e delle parole d'amore. Ma quanta vita passa fra quegli abiti e quei ritornelli sdolcinati.

Finito il panegirico vi dirò che ieri non ho salvato quasi nulla. Ma che importa?
Le canzoni mi sembrano tutte brutte.
Arisa con il maglioncino del club dello knitting, Debora Iurato che fa delle facce improponibili, Madalina Ghenea travestita da Moira Orfei, Garko che sembra uno spot per la salvaguardia dei bambolotti (che con la minaccia del mostro del gender, in effetti, il bisogno c'è!), Aldo-Giovanni e Co. noiosissimi, Conti che è la cosa più oscena che il paese abbia proposto dopo Matteo Renzi ma comunque prima di Berlusconi, ritmo inesistente, autori da mandare al rogo.

Salvo quegli splendidi nastrini rainbow, la bellezza eterna di Andy dei Bluvertigo e del suo completo color pavone (perfetto, da sempre e per sempre), Elton che è un artista semplicemente immenso (se non siete mai stati ad un suo concerto rimediate, perché è uno spettacolo pazzesco e perché ormai ci è rimasto solo lui), l'omaggio a Bowie, più che doverosissimo, e la pubblicità dei mutui dell'Unicredit, che mi è sembrata interessante, la proposta, non lo spot in sé.

Simbolo della serata: Laurona Pausini. Che credo somigli in modo eccellente all'italiano contemporaneo: un po' troppo accento, una bellezza che si aggiusta bene con il trucco, abito improponibile ma pur sempre dal taglio sartoriale, urla come una matta parole di una banalità assordante piene di buoni sentimenti di facile smercio.
Sua anche la frase più politica di tutta la serata, semplice, d'effetto, sufficientemente priva di senso: se siamo simili siamo tutti uguali e dobbiamo proteggerci e non dividerci.

Viva l'Italia.
Viva Sanremo.
E dai, che stasera arriva Patti Pravo.





venerdì 29 gennaio 2016

Galliano e Margiela, lezione d'arte e di futuro.

A volte ho dei momenti di chiarezza così lucidi. Attimi in cui la verità si svela e riesco a cogliere un lampo del futuro.
Mi è successo un paio di giorni fa vedendo sfilare la collezioni di haute couture di John Galliano per la Maison Margiela.
Misero chi guardando un abito vede solo un abito, magari anche difficile da portare.
Ormai lo sapete, quando parliamo di Galliano parliamo di un artista e un visionario vero. Un uomo capace di mettere dentro un solo vestito la Storia e una storia.
Che invidia ho sempre provato per gli artisti figurativi. Per chi sa condensare in un immagine milioni di parole. Mentre io devo stare qui a battere su una tastiera concetti e lettere dannatamente imperfetti.
Quando basterebbero una cascata di stelle che cadono sugli occhi di una fata dai lunghi capelli arancioni, bocche disegnate sulla gola muta, broccati antichi che prendono vita e forma da un bomber oversize, dettagli che sono gioielli incastonati nelle cinture come medaglie al valore, fulmini che irrompono sul bianco immacolato di tailleur che sembrano tagliati con il laser.
Ma questa è mera descrizione. E la meraviglia non si descrive.
Ogni abito è diverso dall'altro in un dialogo che è insieme schizofrenico quanto estremamente coerente. Un po' come la vita.
Galliano parla della sua storia personale e di quella della Maison che guida, ma allo stesso tempo parla di noi e a noi.
Di un futuro che non può mai prescindere dalla conoscenza del sé più profondo.
Perché se sulla sua passerella sembrano sfilare alieni avveniristici, queste creature mitiche sembrano somigliarci parecchio. Hanno addosso abiti rivoltati dall'interno...come se le loro anime fatte di camicie sartoriali e tessuti barocchi, o di quella brutta maglietta a righe che conserva ancora l'odore dell'abbraccio di tuo padre, le avessero tatuate dentro le viscere, e le esibissero, perché si rinasce ogni giorno, è vero, ma rielaborando pezzi di ciò che siamo stati. Da lì non si sfugge.
Nulla si crea e nulla si distrugge, è la lezione che John continua a darci, con estrema precisione, tenendo i fili della storia come un abilissimo narratore, in questo racconto d'arte che a suo modo è anche un thriller, capace di tenerci con il fiato sospeso fino al prossimo capitolo.
Potrei parlarne per ore...
Dei colori, di Bowie che vive in ogni passo, della Piaf che, eterna, canta.
Di quella assenza alla fine della sfilata, che ormai lo sai, ma fa un po' male ogni volta.
Della grandezza di Pat McGrath che Raffaello toglie il cappello ogni volta che la vede.
Di Alexis Roche, che oltre ad essere un uomo di una bellezza e una gentilezza che non sono di questo mondo, è un artista vero. E al quale per tanti motivi che non starò a dire, dobbiamo l'Arte quanto la Vita di John Galliano.
Ma le parole sono solo parole.
Quello che vorrei è che un giorno venisse dato a quelli come John Galliano, non sono molti, il posto nella storia che meritano.
Quello dei grandi artisti che hanno disegnato il mondo.

Guarda la collezione...



sabato 23 gennaio 2016

#Svegliatitalia, può l'Amore non essere abbastanza?

Lo sanno tutti, io non amo le manifestazioni.
Non mi piace vedere troppe persone nello stesso luogo, non so come ci si vesta, odio i cori e gli slogan.
Ma oggi è il 23 gennaio.
Oggi si manifesta, che ci piaccia o no.
Perché oggi ognuno di noi è chiamato ad essere presente in nome della sua libertà.
Perché una legge sulle unioni civili è una legge che tocca ognuno di noi.
Perché quando un paese fa un passo avanti, in questo caso un gigantesco passo avanti, su un tema come i DIRITTI, quel giorno abbiamo vinto TUTTI.
Abbiamo vinto diritti, abbiamo vinto civiltà...ma a chi può fare paura questo?
Chi può dirsi scontento il giorno in cui il suo Paese diventa un posto migliore?
Il giorno in cui lo Stato decide che i suoi cittadini sono tutti uguali davanti, attenzione, ad una istituzione come l'Amore?
E lo sanno tutti.
Che io non credo nelle manifestazioni almeno quanto non credo nell'unione di due persone.
Ma quale grande fortuna che al mondo non esista solo io!
E che in questo Paese, il nostro povero Paese, già così vituperato dalla totale sfiducia nel futuro, ci siano ancora migliaia di coraggiosi Don Chisciotte pronti a mettere una firma per dire:
Stato, io e questo altro essere umano siamo una famiglia.
E siamo una famiglia per un motivo purissimo e incredibilmente semplice: perché ci amiamo.
PERCHE' CI AMIAMO.
Al di là di quello che abbiamo fra le gambe, e che mi pare un po' poco per distinguere il mondo in due categorie, al di là della possibilità o meno che arrivino ad aumentare la nostra gioia (e la nostra insonnia) figli, cani o nipoti, al di là di un giuramento, ma quale obsoleta idea è poi un giuramento? Non insegniamo forse ai bambini a non giurare?
Al di là di tutto quanto non ci distingue e non ci rappresenta, noi siamo una famiglia perché ci amiamo.
Ma quale altro presupposto dovrebbe servire?
Può l'Amore non essere abbastanza?

#svegliatitalia, perché manchi solo tu.
Perché la libertà serve più del pane. E questo non dovremmo dimenticarlo mai.







mercoledì 20 gennaio 2016

Di Berlino e Bowie, e delle cose di cui siamo fatti.

Eravamo atterrate in una Berlino di metà agosto, e io ogni volta che atterro in un paese straniero mi metto un po' a piangere. E Berlino poi...era il posto dove dovevi essere ma che pensavi per natura di non poter amare.
Il tempo di lasciare una valigia, innamorarti dei finti soldati biondi di Checkpoint Charlie, costeggiare quella strana cosa che si chiamava "Topografia del Terrore" e che vi era sembrata da subito una felice sintesi di molte cose, e poi arrivare alla meta. Al cospetto degli enormi occhi alieni di Bowie che ci fissavano dall'alto di un manifesto. Di quella manciata di ore in sua compagnia che ci hanno in qualche modo, io credo, cambiato la vita.
Non ho mai scritto di Berlino. Anche se mi ha schiaffeggiato e innamorato come solo Londra a 18 anni aveva saputo fare. Ma a 18 anni era tanto più facile. E Londra gioca sempre con un mazzo truccato.

Eppure l'altra mattina mi è stato tutto chiaro.
Il Duca è partito per il suo viaggio di ritorno a casa.
E io sono orfana un'altra volta.
Ho imparato molto presto che il Dio dell'Universo, Inventore di tutto ciò che esiste e Padre di ogni sentimento, ogni tanto manda a queste latitudini qualcuno dei suoi Messaggeri. Cascano sulla Terra così, ma lo capisci subito che con la Terra non hanno nulla a che fare.
Mio Padre per esempio. Un'entità portatrice di luce, composta al 100% di bene.
David Bowie, che ha inventato il Suono.
Io ho sempre pensato che Bowie fosse l'uomo più bello che avesse mai camminato su questo pianeta. Era il Piccolo Principe diventato grande. La garanzia che la musica poteva renderci migliori.
E noi prendiamo ossigeno da questi Grandi, ci facciamo tenere la mano fino a che possiamo, e dovremmo essere grati di averli scovati molto più di quanto siamo terrificati dalla loro partenza.

Ho parlato di Berlino perché per me Berlino è Bowie.
Berlino è il futuro atterrato nel presente, e tu la guardi e non la capisci, ma sai che ti sta dicendo qualcosa di te che prima o poi ti salverà la vita.
Berlino ha delle strade enormi che ti accompagnano ovunque tu voglia andare, che non ti permettono di perderti, ma che allo stesso modo potrebbero affogarti.
Dentro Berlino ci sono la Grecia e l'America. La Poesia e l'Orrore, un freddo che ti attanaglia e uan coperta sempre pronta sulle sedie dei bar.
Berlino ha un occhio azzurro e uno castano.

Allora ho scritto questo post un po' confuso per dire che Bowie mi manca. E che le cose che ti somigliano e di cui sei fatto restano tue per sempre. Che siano uomini, Angeli o città.

E io continuerò a fare casino con il Maggiore Tom.
Perchè ovunque egli sia possiede un pezzo di me.


martedì 5 gennaio 2016

Let 2016 be...

Il 2016 è appena cominciato e ho già fatto tanti di quei buoni propositi che sono già in preda ad un annoiato panico.
Con buona approssimazione diciamo che auspico che nel 2016 possa accadere tutto quello che non è accaduto nei precedenti 31 anni della mia vita.
Quindi...devo perdere quei famigerati chili, diventare più attiva e vitale, trovare il Principe Azzurro, imparare a: guidare, stare da sola per più di un paio d'ore di seguito, essere meno gelosa, sforzarmi di capire di più gli altri. In generale togliermi un po' di paura. Leggere di più e guardare più film.
Lavorare di più. Guadagnare di più. Andare al mare. Abbracciare le persone ogni tanto.
E poi scrivere.
Scrivere.
Scrivere.
Finire Velvet Golgota.
Iniziare il mio saggio.
Mettere in pista su solide ruote alcuni progetti a cui tengo molto.
Ho bisogno di coraggio, forza di volontà e fortuna.
Tutte doti che mi difettano ma...nel 2016 si cambia, no?
E andiamo...