mercoledì 7 agosto 2013

"Eros, Polemos" --- Un piccolo regalo inedito.


La battaglia io la stavo guardando non più con aria distaccata e odio, no.
Io ora guardavo quello scempio con il cuore scaldato da un brivido.
Là, fra il rosso del sangue e il nero della morte, ora stava, bellissimo, colui che io amavo più d’ogni altra cosa al mondo…Più di mia madre, che era una dea, più della gloria, che era il mio destino, più della guerra, che era la mia vita.
L'amato mio bene era partito con tutto il suo furore.
Perché i giovani chiudono a doppia mandata occhi e ragione quando li prende il furore.
Era andato in mezzo a chi lo odiava con armi bellissime, rabbia feroce e saggezza alcuna.
Forse per questo più di tutto lo amavo.
Per i suoi capelli di miele, sì. Per la sua carne chiara. Ma anche, e di più, forse, per quella sua impazienza, quel palpito di follia.
Era un ragazzo il mio bambino e si credeva un uomo.
Quando lo stringevo a me, il suo cuore contro il mio cuore, i suoi sogni mischiati ai miei sogni, le nostre mani intrecciate, i capelli confusi, io sentivo tutta la nostra forza, il nostro amore grande,  splendente… che mai capriccio degli dei avrebbe potuto porvi fine.
La battaglia io la guardavo.
E nella battaglia stava ciò che di più bello avevo al mondo. E un brivido mi percorreva la carne.
Dalla mia posizione lontana, vicino alle navi, vedevo colori confusi, schizzi improvvisi, bagliori di armi…
E sentivo. Grida, pianti, le punte delle lance battere sulle corazze invincibili…
Ma tra mille urla io cercavo la sua voce, e tra mille rumori quello della sua spada, la mia, in realtà, che io stesso gli avevo affidato perché si fingesse me.
Me lo aveva chiesto nel pianto, come un bimbo.
“Ti prego, mio Amore. Dammi le tue armi, dammi i tuoi cavalli, dammi il tuo esercito…E io ti giuro che non combatterò, che sarò attento, che cerchèrò solo di spaventare il nemico”
“Giuramelo davvero, giuralo ancora, giura che non combatterai, che sarai attento, che cercherai solo di spaventare il nemico e io ti darò le mie armi, i miei cavalli, il mio esercito”
…così gli dissi perché tanto non lo potevo più tenere, la guerra voleva, lui che della guerra conosceva poco più che i racconti.
Gli diedi le mie armi, e i miei cavalli e il mio esercito perché era l’unico tentativo che avevo  per salvarlo.
Ma ora…
Troppo tempo era passato dall’inizio della lotta.
E nessuno dei nostri ancora tornava.
Parlare di presentimenti, no, non mi sembra sincero. Ma di un profondo malessere che ormai non riuscivo a domare, sì, di questo posso dire.
Guardavo la battaglia dalla mia lontana posizione, la guardavo e rabbrividivo al pensiero del mio amore là, perso in mezzo alla bufera.
E poi…Vidi qualcuno corrermi incontro, furiosamente, in mezzo alle pietre di quella spiaggia odiosa.
Non riconobbi il suo volto, solo notai che era senza armi e che sembrava preso da un impeto sublime.
Correva e sollevava polvere e correva.
Mi fu davanti.
Allora capii chi era. Un ragazzo bellissimo che era con me da quando era un bambino, figlio di un vecchio saggio che mi voleva bene.
Mi fu davanti.
Vidi il suo viso che sembrava sciogliersi con le lacrime.
E provai pena pensando a quanti amici doveva avere perso in quel giorno di guerra e in tutti quelli prima, in quella giostra folle che ad ogni colpo di lancia sembrava andare più veloce.
E non pensai subito che era venuto ad annunciarmi la morte del suo amico più caro, il ragazzo che io più di ogni altra cosa al mondo amavo.
“E’ morto”, mi disse…ché tanto altre parole non sarebbero servite…”E’ morto”.
Tutto, all’improvviso, mi abbandonò.
La forza fuggì dalle mie vene, la voce mi si spense in gola e il mio corpo non resistette più.
Caddi a terra, come morto, ma molto più che morto.
Caddi a terra, io, l’Eroe.
E il ragazzo mi disse di alzarmi, di andare…perché i nemici stavano straziando il purissimo corpo del mio Amore.
Alzarmi…andare…
E con quale forza, voce, corpo?
Io che non ero più né forza, né voce, né corpo.
Volevo confondermi con la terra e le pietre. I miei capelli impastati con la spiaggia e le mie nobili vesti putride, perché di sangue erano le mie lacrime.
Uccidermi.
A questo solo pensavo. Ché tanto ormai ero già morto e quasi sepolto tra la sabbia nemica.
Uccidermi.
Ma non sentivo la forza nemmeno per cogliere un pugnale e conficcarlo nelle mie viscere, laddove ancora più forte ora bruciava l’amore per il mio Amore.
Un pugnale, agognavo, un pugnale che potesse darmi sollievo come l'acqua in un mezzogiorno di agosto, un pugnale che suggellasse la mia morte.
Allungai un braccio.
E invece del freddo della bella lama trovai la calda carne del ragazzo, che era un bambino quando lo conobbi.
La sua mano strinse la mia mano…forte…come se la nostra pelle poro a poro potesse trasmettersi forza.
Lentamente, mi alzai.
E andammo così.
Io, l’eroe, con la tunica insanguinata e lui, il ragazzo, con la pelle bianchissima, mano nella mano.
Ci avvicinammo , salimmo su una collina.

E dalla collina io ho guardato ancora la battaglia.
E ho visto uomini simili a leoni strapparsi la carne di dosso.
Ho visto uomini simili a vermi strisciare chiedendo pietà.
Ho visto uomini simili ad avvoltoi incombere sul corpo che io per tante notti avevo stretto fra le braccia.
E ho dimenticato il Re che odiavo, ho dimenticato la mia schiava rubata e le offese…
E ho urlato.
Più forte.
Ho urlato.
E mille e mille volti ho visto alzarsi verso la collina, i volti dei leoni uguali a quelli dei vermi come a quelli dei rapaci…i volti degli uomini.
E il mio nome terribile che significa guerra io l’ ho visto formarsi sulle loro bocche.
E gli avvoltoi, vili più di tutti gli altri uccelli perché si cibano di ciò che altri hanno ucciso, io li ho visti scappare.
E poi un silenzio che è così lontano dalla guerra è sceso sul campo seminato di morte.
E il mio amore senza vita è tornato alle nostre tende.
Come un bambino rapito dal sonno portato tra le braccia, io lo vidi. Ma non erano le dolci mani di madre a cingerlo, ma quelle callose e piene di morte di un vecchio generale.
Una notte e un'altra e un'altra ancora sono rimasto ancora con lui.
Notti di pianto e di veglia, di baci sui capelli di miele, carezze alla sua carne chiara.
Poi sono andato.
Perché la guerra era la mia vita.
Io, Achille glorioso, nel nome del mio Amore.

                                                                             
                                                                             (Darkene Fabiana DiCembre)

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