lunedì 29 aprile 2013

So Proud, So Me, So Men, So Tisci...

C'è una parola che amo molto e uso spesso.
Orgoglio.
Di solito sta ai primi posti nell'elenco sei miei difetti, se chiedi di me. Lo diceva anche mio padre.
Però orgoglio per me è una un concetto dal significato altissimo.
Significa "stare in contatto con se stessi", portarsi scritto addosso passato-presente-sogni, essere Me-Me-Me in ogni mio gesto. E poi rispetto, anche.
Io porto il mio orgoglio nei miei gesti carnevaleschi, in quell'essere un po' cagacazzo, nella bigiotteria vistosa, nei miei abiti neri, nella pelle che si androgenizza, nelle persone che spariscono dalla mia vita e in quelle che si materializzano, negli occhi, soprattutto. Eccetera, eccetera, eccetera.
E poi c'è l'Arte.
Che è vera solo se diventa lo stendardo del proprio orgoglio.
Bene. Quando io vedo Riccardo Tisci, la sua faccia, la sua arte... penso alla mia idea di orgoglio.
E forse sarà anche perchè parla la mia lingua, sarà per quelle Madonne affrante, i tatuaggi dei suoi uomini, la pelle delle gonne, il rifiuto della gabbia dei generi, sarà che combattiamo le stesse battaglie, che i suoi amici sono persone a cui stringerei volentieri la mano, sarà quel nero così vero, o  l'anima un po' barocca...sarà quel che sarà, ma io ti devo un pezzo di cuore Mr.Tisci.

Stavamo ferme davanti ad una grande foto di Karl Lagerfeld contemplando gli occhi di Tisci quando Ambra mi ha detto: le vedi le radici?
E come no.
Quanta Puglia, quanta terra e insieme quanta strada, quanto mondo.
Quando fra mille milioni di anni i mitici marziani troveranno un abito, o una foto di una campagna, o una qualsiasi cosa di Givenchy by Riccardo Tisci sapranno tutto di noi.
Sapranno il meglio.
Sapranno che il mare ti resta appiccicato alla pelle, sapranno che abbiamo provato molto dolore e che per questo siamo diventati di roccia. Che abbiamo combattuto infinite battaglie contro la nostra stessa paura, e che non sempre le abbiamo vinte. Sapranno che abbiamo costruito "infinite cose deliziose" e che ne abbiamo distrutte, con lo stesso ardore, almeno altrettante.
Sapranno questo e molto altro.
Sapranno cosa davvero sia un uomo e quale enorme e meraviglioso sentimento sia l'Orgoglio.

Esagero?
E allora voi date un'occhiata a questo, come se foste quei marziani però...

Givenchy for Barneys



venerdì 5 aprile 2013

E riderò perchè quel giorno tutti ridono...

A te, Piccolo Grande Pagliaccio...

Ti ho incontrata nascosta dentro una pancia che ero soltanto un piccolo diavoletto con il caschetto nero.
Che a malapena stavi seduta tra i cuscini del divano.
Una valigetta piena di pentolini nel cortile della Tere.
A chiedere caramelle in cambio di canzoni stonate.
E le feste di compleanno, quando bastava immergere la testa per pescare un limone.
Quelle estati senza fine che era tutto un Risiko su e giù per le nostre colline.
A tirare dadi per indovinare il futuro.
"Come farò...sola così" ci urlavamo sotto un lampione.
Ho dormito sul tuo divano quella notte che il fuoco si stava portando via tutto.
E mangiato quante volte al tuo tavolo, la purea, la pizza e il pesce spada.
E poi le Barbie e le sfilate, i lego e la spesa della scuola..
Abbiamo avuto un sacco di risate e molte meno lacrime.

Io, Te, Bimbi.
In una foto facciamo le linguacce...in un altra tu porti un bianco saio, io i miei brutti occhiali e la piccola ha un coniglietto in braccio.

Domani ti sposi.
Avremo tante altre foto da fare, una vita di montegne russe lì ad attenderci.
Tu ridi sempre Pagliaccio, ascolta solo chi ti ama e sii felice.

Perchè dentro gli occhi noi saremo noi per sempre...Kimbo, Lavazza e Caffè.
In una parola: Sorelle.





giovedì 4 aprile 2013

Un paio di settimane fa Lee avrebbe compiuto gli anni...

" Ciao Lee...

Come un fulmine a ciel sereno. E' un'espressione semplice che rende pazzescamente l'idea di quello che vuole dire. Tu te ne stavi seduto su un prato a leggere godendoti il sole, ed ecco, un fulmine squarcia l'aria e devi correre via, perché il presagio è chiaro. In un attimo il corso della giornata cambia e può anche non essere una tragedia, per carità, eppure devi sederti vicino alla finestra e rifare tutti i conti che erano scontati.
Mi è arrivata così, come un fulmine a ciel sereno, la notizia della morte di Lee McQueen, alias Alexander, un ragazzaccio con la faccia da schiaffi che amava salterellare per le passerelle di moda del mondo.
La retorica della morte è qualcosa di estremamente complesso e difficile da dipanare...scappa sempre la parola di troppo, il lamento fuori posto, l'ovvio frasario al quale ci appigliamo quando il nostro cervello si rifiuta di costruire un pensiero preciso, perché ci sono delle robe che fanno troppo male ed è facile che siano proprio quelle che non si sanno spiegare.
Un artista che se ne va, che sceglie di farlo in un modo atroce, portandosi via una valigia di talento e puro genio e un sacco di nostri sogni, per esempio è una cosa che fa troppo male.
E allora non la si può spiegare.
Alexander McQueen era un artista straordinario.
Sapeva perfettamente cosa dire del mondo. Era un poeta dell'ora e qui capace di offrire una prospettiva diabolicamente esatta di quello che stava accadendo. E questo lo diciamo ad alta voce alla faccia di chi ancora sputa nel piatto della moda etichettandola come mondo vano e di scarsa utilità. In quegli spettacoli a 360 gradi che erano i suoi show potevi leggere a chiare lettere tutte le contraddizioni di questo tempo fragile come un velo, le speranze accartocciate in una gonna di un futuro che brucia, le paure collezionate e incastonate come preziosi gioielli sul décolleté.
Ma soprattutto Lee, come lo chiamavano gli amici, bando alle giustificazioni di sorta, era un Creatore di Bellezza.
E la Bellezza non ha bisogno di spiegazioni né tantomeno di giustificazioni. Mai. Quindi ci attacchiamo a quello che di Mr. McQueen ci resta...questo mucchio di Bellezza.
Nuvole bianche che diventano abiti, scarpe scolpite, lacci, nastri, pelle nera lucidissima, performance spettacolari, trucchi magici, colori mirabolanti e bianconeri laceranti.
Questo piangiamo noi oggi. Un pezzo di Bellezza che ci è stato tolto.
Pierre Bergè disse di Mr. Yves Saint Laurent: << He was an artist >>.
E' una cosa semplice ed evidente. La più vera che mi venga in mente.
Ciao Lee.
Possa tu trovare la pace che meriti.
Chissà che belli saranno ora gli angeli.
Noi da qui continueremo ad ammantarci di teschi.
Ma probabilmente smetteremo di sorriderne. "


Febbraio 2010

lunedì 25 marzo 2013

Parole che parlano di Me.



"E' quando si smette di parlare di se stessi che si comincia a fare davvero letteratura". Eppure io di me stessa non ho parlato mai. Che abbia fatto o meno letteratura, ho sempre raccontato gli altri per emozionare gli altri.
E forse è questo il nodo della mia sconfitta.
Forse quella di prima è la più grande boutade che si possa raccontare ad un corso di scrittura creativa.
Forse lo sono a prescindere i corsi di scrittura creativa. Creativa, poi...che aggettivo poco creativo.

Da un po' di tempo sto facendo un lavoro di cesello su me stessa. Un gran lavoro di modellamento, come con la creta. Un enorme pezzo di creta puzzolente e cagacazzo* che cerca di diventare una donna orgogliosa.
E' un percorso lungo e accidentatissimo, ma mi sento sulla buona strada.
Ho compagni forti, motivazioni salde, la Vita che mi attende al fondo del sentiero.
Volete sapere se ho paura?
Sempre. Tanta.
Ma anche con lei sto imparando a patteggiare.

Modellamento e accettazione, insieme. 
Coraggio di cambiarealcune cose e imparare ad amarne altre.

Parte di questo percorso è legata al corpo e alle parole.
Al mio grosso corpo sgraziato che mi rispecchia e imprigiona. 
E alle mie parole. Quelle che non scrivo più da un sacco di tempo. Quelle che non ho mai scritto. Per pudore, per vergogna, per superbia.
Parole che parlano di Me.

E' il mio augurio a me stessa. E di conseguenza anche a voi.

Semprevostra,

...




*cagacazzo è una parola che non fa parte del mio vocabolario. E' volgare e brutta. E nemmeno molto esplicativa. Un po' di tempo fa sono stata così definita. Non ho ben capito cosa volesse dire, soprattutto perchè la critica è arrivata da parte di una persona con cui ritenevo di essere stata sempre attenta. E' una cosa che mi ha colpito molto e sulla quale continuo ad interrogarmi.

Post per una sorella.

Non c'è più tempo per aspettare
Non puoi usarlo ancora come scusa e rimandare
Non puoi vedere solo il bene
Non puoi temere solo il male
E non confondere il mondo con una regione
Non confondere il denaro con la ragione.

Perchè mio figlio dovrà sapere
Perchè mio figlio dovrà sperare
Perchè mio figlio dovrà imparare
A capire...
Milioni di sogni
Milioni di segni
Per milioni di giorni ancora...ancora.

Non nascondere a nessuno
Il pensiero e la dignità
La minoranza non è una debolezza
La maggioranza non è una qualità
Ma la voce più convincente
E' spesso quella che ti spiega meno
Perchè conforta, non ti contrasta, ti dice solo quello che vuoi sentire.

Ma mio figlio dovrà sapere
Ma mio figlio dovrà sperare
Ma mio figlio dovrà imparare
A capire...
Milioni di sogni
Milioni di segni
Per milioni di giorni ancora...

Il tuo pensiero
La tua esistenza
L'infinito umano è tutto qui.
E' tutto qui....E' tutto qui...
L'infinito umano è tutto qui.


(Niccolò Fabi, Milioni di Giorni)

lunedì 18 marzo 2013

Segni...

Dunque, chissà...
E' possibile che la lettura quasi obbligata de L'Alchimista in giovane età sia una delle cause dello spappolamento della mia generazione?
Con estrema consapevolezza mi avvicino ad un'età che non avrei nemmeno immaginato di poter nominare.
Non aspetterò la scadenza ben più significativa dei 30 per trarre un bilancio. Lo farò un anno prima. Così, tanto per sbrindellare sempre gli equilibri. Quidni cominciamo.
 La storia dell'alchimista era legata alla spasmodica ricerca di segni che io e svariati miei sodali facciamo da anni. Lo facciamo più ancora di quanto viviamo. Siamo sempre in giro, lente e lanterna...
E così mi ritrovo davanti a questo computer a distillare parole.
Oppure nella hall di una grande casa di moda leggendo Benni.
O in mezzo a donne e bambini marocchini a scandire l'ABC.
O a scambiare tweet pieni di cuori con il fidanzato di John Galliano.
E sono sempre io.
La snob, la migliore, la sociopatica, la sognatrice, la santa, la folle, la migliore amica, l'odiosa, quella che si fa in quattro, quella che non ti risponde nemmeno al telefono...
Sono io che continuo a guardare la vita dall'alto concentrandomi sul campo lungo e perdendo completamente di vista il dettaglio.
Alla ricerca dei maledetti segni.

Eccone uno...
Uscendo dalla hall della grande casa di moda, avevo gli occhi pieni di luce e mi sentivo a un passo dal sogno, tipo quell'uno su mille di morandiana memoria, sono platealmente scivolata sui miei tacchi 13.
"E' successo anche alla tipa degli Oscar" mi ha rassicurato la Pagliaccia.
Solo che lei stava entrando in scena, io, inesorabilmente, as always, ne uscivo.

lunedì 4 marzo 2013

E tu lo sai che dipende dal sole.

Quando mi perdo fra i condizionali arzigogolando possibilità ormai perdute...
Oppure è colpa del mal di gola che ti strozza e il fiato fatica a colorarti la faccia.
Ci sono cose che non si possono sapere, che non sapremmo nemmeno se vivessimo mille anni e leggessimo un libro al giorno. Ci sono cose che non sono a forma di uomo.
Ci sono pensieri che non sono in grado di prendere forma di parola. Credo sia per questo che esiste la musica.
Ci sono mal di testa che non passano. E malattie che sono connaturate con il tuo modo di guardare avanti.
Ci sono anime che non possono ridere...Impastate con le lacrime, le riconosci se sei loro gemello.
Ci sono dolori che quando li tocchi con le mani ti restano appiccicati per sempre e se provi a prendere loro le misure ti accorgi che è quello che farai per il resto della tua vita.
E che sei tu ad esser diventato parte di loro, mai il contrario.
Li hai scritti sulle mani da sempre, e poi a forza di tenerle schiacciate sugli occhi te li tatui sulla faccia.
E ci sono istintivamente giorni peggiori e giorni migliori.
E tu lo sai che dipende dal sole.