Mia madre lo ripeteva spesso quando ero piccola e lasciandomi sempre stupita e anche triste. Mi sembrava una frase piena di rassegnazione, come a dire: tanto era un altro, mica io, è roba che non mi appartiene e che spio dal buco di una serratura.
Personalmente ho un rapporto abbastanza vago con il passato, il mio istinto di autoconservazione è così forte che mi spinge a dimenticare quasi tutto, e quello che è stato, le persone che lo hanno popolato, si ammucchiano in un magma indistinto che relego in qualche angolo molto buio e stretto della mia memoria.
Sono basi sulle quali è molto difficile costruire, perché ogni rapporto necessita così di rinnovamento continuo, perché non esiste mai nulla di dato, di scontato, come una sabbia mobile eterna che inghiotte tutto e raramente restituisce un pezzo.
Quindi, in fondo, come sempre, ha ragione la mamma.
Non è sicuramente roba mia, il mio passato e del resto probabilmente io non sono più quella di ieri, mai. O quasi, insomma.
Sono stata costretta a queste riflessioni perché in questi giorni si fanno gli alberi, si scrivono i menù delle feste, si comprano i regali, ed è per me tanto penoso quanto è stato felice un tempo.
Un paio di giorni fa ho visto per la prima volta quel capolavoro che è Edward Mani di Forbice e tra quei fotogrammi ho ritrovato mio padre.
E poi stamattina mi è capitata davanti una vecchia foto del nostro gatto amatissimo.
E ho pensato: cacchio...ho trent'anni e ho così tante cose alle spalle che se ne sono andate per sempre...E sono state così belle che, ne sono certa, non potranno tornare.
Per questo cerco di dimenticare tutto, così potrò accettare di perdere tutto, tanto chi se lo ricorda?
Poi allargo la mia prospettiva...
E mi rendo conto che questo strano oblio dei sentimenti non colpisce solo me.
E' un po' il male della mia poverissima generazione.
Che siamo cresciuti divertendoci così tanto, con la promessa eterna che avremmo avuto tutto e poi ci siamo accorti che correvamo veloci verso la nostra wrecking ball.
Ho ancora qualche amico che timidamente ci prova, compra una casa, fa un bambino, cerca disperatamente di costruire qualcosa che possa restare. E io li ammiro questi stakanovisti d'antan, e mi auguro dal più profondo del cuore che abbiano ragione.
Io mi accontento di accumulare piccole cose, le chiacchiere fino alle cinque del mattino, una cena preparata con amore, le coccole di una piccola gatta dal pelo ispido che gocciola quando fa le fusa, sperando di riuscire a conservarne qualcuna, come quando era Natale ed eravamo in tanti, la risata di mio padre, gli occhi belli di Achille. Che ora mi sembrano la vita di un'altra, che accipicchia se è stata fortunata.
Nessun commento:
Posta un commento