giovedì 12 agosto 2010

La cura, ovvero un concerto del Maestro Battiato.

Si va in gita in montagna, si va in gita in montagna, si va in gita in montagna trallalllà!!!


Inizia così. Cronaca di due giornate Valdostane.

Un paio d’ore di auto guidati dal nostro fido chauffeur (finalmente ho capito a cosa sono serviti tanti anni di devozione a Schumacher a mia sorella!) ed ecco stagliarcisi davanti il Castello di Fenis.

Panini, birre nella borsa frigo, biscottini, un parco con i tavoli scolpiti nel legno e la fontana che regala acqua di montagna… “Verrà a piovere?” “Chiamiamo Marco che controlli il Meteo!” “Tranquille ragazze…in Valle c’è sempre vento!”.

Non è poi così difficile la felicità.

Passare con le persone che ami in una giornata d’estate a elucubrare sulle cose del mondo fra un affresco nel cortile di un castello di montagna e l’attesa di un concerto da favola.

Quando ci sediamo ai nostri posti la vista ci mozza il fiato in gola…l’enorme palcoscenico che ospiterà Franco Battiato, Francuzzo, il Maestro e, udite udite, la Royal Philarmonic Orchestra con lui, è sprovvisto di fondale…perché a fare da scenario naturale nientedimeno del Castello di Fenis…Finezze da consumati scenografi.

E il mio primo concerto di Battiato. E ho deciso che chiuderò in un pacchetto il mio dolore e lo butterò giù da questi monti. E avrò il maestro come testimone.

La serata è ad altissima concentrazione di tuffi al cuore. Non manca niente. Haiku, E io tra di voi, Te lo leggo negli occhi, Inverno, Gli uccelli…perfetto.

Il maestro beve succo d’ananas seduto su un tappeto. Il vento diventa freddissimo e allora si adagia una coperta sulle ginocchia.

Io mi stringo nello scialle del mio Petit Prince e nel pensier mi fingo una piccola Dorothy davanti al suo mago di Oz, al quale chiedo il sorriso e il coraggio.

Poi arriva La canzone dei Vecchi Amanti…che non osavo nemmeno sognarmelo di sentirla dal vivo prima o poi. Un pensiero corre a Lisa, che me l’ha insegnata, e al bene che le voglio da lontano.

Abbraccio le Prince accanto a me. E insieme singhiozziamo in quel modo da bambini…con tutto il corpo che si scuote percosso dalle note. Poi tocca a La Cura. L’unica canzone che l’abuso e il tempo non riescono a scalfire. Quella che ogni volta mi fa dire: se esiste un uomo che può scrivere versi simili allora è proprio vero che tutto l’universo obbedisce all’amore… ;-)

Il concerto sembra ormai perdersi in questa infinita tristezza quando il Maestro decide di dare una bella svolta: la canzone che tutta la platea sognava di cantare, quella Povera Patria che, parola di Francuzzo, è ormai diventata una “poverissima patria”…Mentre canto penso a quanta voglia ho di abbandonarla e quanto amore provo nonostante tutto per lei… “sì che cambierà, vedrai che cambierà” però temo che ci stancheremo di aspettare la Primavera… Applausi infiniti. Come può essere emozionante il compatire.

E ti vengo a cercare è altera bellezza. E poi è la canzone di mia sorella…Quindi me la godo guardandola sorridere.

Con l’Era del cinghiale bianco il grande piazzale del castello di Fenis diventa una sorta di discoteca psichedelica all’aperto… le gambe non riescono a fermarsi e quando Francuzzo ci esorta ad avvicinarci a lui, abbandonando la coperta e alzandosi, correre verso il palco è una liberazione che solo chi frequenta i concerti può capire… Ballare insieme al Maestro e a centinaia di persone di qualsiasi età, uomini, donne, tantissimi ragazzi, che tendono le mani verso di lui e aspettano le sue parole come pane è un’altra di quelle robe difficili da descrivere.

E di cui ringraziare Dio.

Si chiude con La stagione dell’amore, Voglio vederti ballare, Prospettiva Nevsky e Cuccurucucu Paloma…

Battendo le mani, i piedi per terra…in un rito di gioia collettiva così sacro e così pagano.

Il concerto finisce e ci sentiamo così leggere. Abbiamo così tanto pianto, riso, ballato, gioito…

Non è facile trovare l’alba dentro l’imbrunire. Ma quando succede maestro, quali colori inimaginati!

(Franco Battiato, la Royal Philarmonic Orchestra, il castello di Fenis)

martedì 3 agosto 2010

Ehilà…

Ehilà…


Temo di essere talmente indietro da non poter recuperare!

Eppure tra il lavoro, il sonno arretrato, gli inseguimenti di chimere è da un sacco che non trovo il tempo di sedermi qui davanti e scrivere.

Ho un conciliabolo di idee nel cervello che prima o poi troveranno sfogo.

Vabeh, proverò ad andare con un minimo di ordine iniziando dal mio amato blog.

L’Estate è una cosa meravigliosa. Mi rendo conto di passare l’inverno in pieno letargo e di essere viva solo quando il sole si insinua sotto la mia pelle…abitini vezzosi, occhiali da sole, l’odore della crema…

E poi Estate da tanti anni per me fa rima con concerti. E ai concerti si legano da sempre i miei ricordi più preziosi.

E allora partiamo da qui.

venerdì 9 luglio 2010

John Galliano's Eden

" Nature is the most inspiring teacher"...come è vero Sir Galliano.
Ti svegli un mattino e c'è il sole, esci in giardino e scopri che esistono più tonalità di verde di quelle che avresti mai potuto immaginare...
Un sacco di persone mi chiedono come faccio a vivere in un posto così scomodo. Io sorrido e non rispondo di solito, celando dentro di me il segreto. Potrei dire: e voi come fate, voi che non sapete cosa siano i colori e gli odori, e il vento e il silenzio.
Sto divagando.
Ma volevo il mood giusto per introdurre una delle collezioni d'arte più belle che io abbia mai visto.
Lo spettacolo portato in scena al Museo Rodin il 5 luglio, prima sfilata dell'Haute Couture parigina, è stata una sciarada di colore e perfezione, altissima sartoria e vera passione...
John Galliano ha detto di essersi ispirato per la collezione al giardino di "Les Rhumbs", la casa d'infanzia di Monsieur Dior in Normandia...(una meta, tra l'altro, da non dimenticare, save the place, capito Sorelles?)...
Osservare i tulipani per ore assaggiandone i cambiamenti di luce, la consistenza, i movimenti impercettibili...questo ha fatto Galliano.
Vengono in mente il Bel meriggio d'or di Alice...e i suoi mirabolanti Tulli-tulli-tullipan.
Le gonne esplodono come fuochi d'artificio, i corpetti leggeri scoprono mille sfumature, come cinture nastri di rafia e in testa il cellophane dei mazzi (se n'è occupato Stephen Jones!)...

Ok. Smetto di parlare e vi lascio qualche foto.
I miei fiori preferiti in questo clamoroso Eden figlio del genio del più grande artista vivente...



sabato 3 luglio 2010

Là dove cresce il dolore...Un abbraccio a Nicc

Questo strano inizio di estate ha preso tutte le carte che avevo girato in tavola e con modi bruschi me le ha buttate tutte a terra...
Poi non contenta, mentre io mi arrabattavo per raccoglierle e pulirne alcune che si erano sporcate, ha cominciato a sferrarmi calci sulla testa.
E io gridavo e dicevo "basta". E lei rideva e diceva "no".
Si aggiunge così ai miei drammi privati la nostizia dell'improvviso addio al mondo della figlia di un poeta straordinario, Niccolò Fabi.
La piccola Olivia è andata via ieri.
Io non lo so se ci sono parole che possono valere qualcosa se dette in un momento simile.
Non so se si possa fare altro che sperare di trovare da qualche parte, nelle stelle, nel sole, in un gatto, la forza di dare un senso ad una cosa così. Trovare il modo di trasformarlo, riplasmarlo...prendere quella materia nera, spessa, orribile e con le mani reimpastarla, mondarla, riempirla di fiori e farla diventare altro...farla diventare Amore.
Auguro questo a Nicc e a tutti quelli che in qualche modo stanno guardando in faccia con gli occhi spalancati e le mani che tremano il dolore.
"Là dove cresce il dolore è terra benedetta", Oscar Wilde.

Buon Viaggio Lulùbella.

mercoledì 30 giugno 2010

Dialoghi Immaginari...

John Galliano riceve la Lègion d'Honneur dalle mani del presidente francese Sarkozy...
Io e il mio Piccolo Principe, nel corso di una delle nostre conversazioni surreali, abbiamo provato ad immaginare cosa si sono detti...

Sarkò: << Comment vous sentez-vous depuis que vous êtes légionnaire, Monsieur Galliano? >>
John Galliano: << Avec des boucles d'oreilles en perles...>>

martedì 29 giugno 2010

Io e Patti Smith, seconda parte

Appena la vedo gli occhi mi si riempiono di lacrime. Quelle lacrime belle, di gioia, di pienezza dell’anima…
Patti Smith sorride dicevo. Lo farà un sacco di volte durante la lunga intervista, spesso girandosi verso di noi, popolo dei cuscini.
La intervista Bill Flanagan, uno che la musica sa cos’è e le domande le sa fare (dote rara…), capace di commuoversi quando lei lo ringrazia.
Patti Smith è una donna piena di grazia. Muove poco le mani, solo quando deve spiegarsi meglio, e descrive nell’aria geometrie affusolate che gli sguardi rapiti inseguono come se vi celasse segreti antichi.
Parla di quando era bambina, di quando capì improvvisamente che tutto quello che voleva fare nella vita era scrivere. Parla con umiltà incredibile della sua vita a New York, di come lei tra i grandi sia “capitata” quasi fosse un caso, e di come il suo ruolo oggi non sia altro che quello di fare da tramite.
Non si tira indietro a nessuna curiosità, racconta di un pomeriggio qualsiasi nella sua cucina mentre pelava le patate, e di come Fred, l’adorato marito, sia entrato e le abbia detto “Tricia, lui mi chiamava così, People have the power, scrivilo!” e del suo sogno che quella canzone diventasse un inno, sogno che si è realizzato anche se lui non ha avuto tempo di vederlo.
Cita Dio un sacco di volte. E si capisce che la sua è Fede vera, qualcosa di grande a cui è arrivata con il tempo e lo studio.
Ogni tanto mi volto a guardare la sala ipnotizzata. A fianco a me le mie Sorelles…Una ha gli occhi rossi dietro gli occhiali (ma poi mi dirà di non aver pianto…e ci mancherebbe, lei è la bambian che non deve chiedere mai!), l’altra se ne sta col mento appoggiato alla mano, come un topino a cui stanno raccontando una favola.
Poi Patti Smith ci fa ridere con un aneddoto simpatico…un giorno dispersa a Roma: affamata, senza telefono, né soldi. Un uomo davanti ad una pizzeria la riconosce e le dice “vieni a cantarci una canzone” (e in Italia “una canzone” è sempre Because the night!), lei accetta chiedendo in cambio un pezzo di pizza…e canta. E poi la pizza le viene data intera e addirittura viene riaccompagnata in albergo! Ride Patti. “Queste cose succedono solo in Italia”. E menomale. Farlocchi sì…ma pieni di cuore!
E poi una riflessione sul ruolo dell’artista, che se ha un dono non può esimersi dal condividerlo …
In realtà Patti racconta un sacco di altre cose, dei figli, di Kurt Cobain, dell’attivismo politico, dei momenti in cui si sente stupida imbarazzata davanti a tante persone.
Poi, finalmente, canta.
Una manciata di canzoni, tra cui una meravigliosa Grateful.
E qui accade una roba folle. Patti si lancia in una riflessione sull’importanza marginale della fama e del successo che definisce “nice” rispetto a quello che è il vero compito dell’artista: lavorare. Quello che un artista deve fare è creare la sua arte. Si gira verso di noi. E incrocia i miei occhi.
Messaggio ricevuto.
Poi appoggia la chitarra.
“Volevo aggiungere una cosa”, in onore dell’Italia e di quella Pizza intona Because the Night, così…pura voce di profeta e coro di fan.
Uno di quei momenti da spuntare nell’elenco delle cose più incredibili e meravigliose che possono succederti nella vita: seduto su un cuscino in una sala barocca accanto alle persone più importanti della tua vita a 1 metro da Patti Smith che canta Because the Night…
Mozzafiato.
Uscendo sulla nostra nuvoletta rosa, stringendo i nostri autografi, in una Torino ancora caldissima, ci guardiamo e stentiamo a credere a quello che ci è appena successo…
Abbiamo preso sulle ginocchia il rock e l’abbiamo trovato meraviglioso, e abbiamo sorriso.
Ora so per certo che aveva ragione Shakespeare. Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni.
Thank you Patti.
I love you forever.


(Patti Smith e Bill Flanagan, Circolo dei Lettori, Torino, 26 giugno 2010)

lunedì 28 giugno 2010

Io e Patti Smith, prima parte

Mi è difficile cominciare questo post.
Forse perché ripensare a quello che è accaduto mi fa ancora tremare i polsi.
E allora comincerò dall’inizio… Da una notizia letta in fretta sul giornale in una sala d’attesa di ospedale.
“Patti Smith a Torino”.
Poi altri mille pensieri e quasi te lo dimentichi. E alla fine, all’ultimo, controllando orari di treni con gli occhi che si chiudono, decidi che forse non ti capiterà così spesso di incontrare Patti Smith e che forse ne hai proprio bisogno in questo momento.
E’ un sabato pomeriggio d’estate. Nel senso che finalmente qualcuno si è accorto che è estate e allora come per magia c’è il sole e fa caldo. Tanto caldo.
Con me ci sono le mie fide Sorelles. Ne manca solo una, la mia eroina, ma è assente giustificata perché deve scalare una montagna (trovo sia una cosa meravigliosa…allegoricamente e fisicamente).
La coda davanti a noi è lunghissima e i posti sono limitati. Che accadrà? Intanto noi stappiamo le nostre bottigliette d’acqua e brindiamo ufficialmente all’inizio della stagione dei concerti.
La fila si muove…dita incrociate. Il flusso si blocca esattamente davanti a noi. Posti esauriti.
Inno alla sfiga, come sempre, ve l’avevo detto, se avessimo preso il tram invece di passeggiare…
Poi l’uomo in nero della security torna da noi. “Devo dirvi una cosa, ma non voglio storie. Ci sono ancora venti posti. Per terra. Però ci sono i cuscini”. Non credo di aver davvero sentito la parola cuscini. In quel momento stavo immaginando di stare in ginocchio sui ceci con davanti Patti Smith.
Un’immagine ad altissimo contenuto mistico.
Per farla breve…la sala del circolo dei Lettori che ci ospita è meravigliosa, stuccata, con un lampadario da 1000 mila e una notte…Ci accomodiamo sui cuscini. Davanti a noi, ad un metro e mezzo da noi, un micropalco con un tappeto, due sedie che sembrano delle tapparelle fatte a sedia, una chitarra…
In un angolo c’è un grande pianoforte. Un signore con gli occhiali dice “Sapete, è la prima volta che mi scrivo una presentazione…”.
Ci sono dei momenti in cui l’emozione la puoi vedere. Sale dagli occhi di chi hai intorno, si fa palpabile come uno zucchero filato. “Signore e Signori…Patti Smith”.
Entra da una porticina laterale. E io penso che potrebbe anche scoppiarmi il cuore da quanto è bella.
Ha una camicia a righe, una giacca da uomo, i jeans negli stivali, i capelli sciolti. Porta con sé una vecchissima macchina fotografica. E io penso che sto guardando in faccia il rock’n’roll. Lei sorride. In un attimo mi vengono in mente gli occhi di Michael Stipe che mi stringe la mano in un giorno di Londra. E poi come eravamo distrutti nel fisico ma così rinvigoriti nell’anima dopo tre ore sotto al palco di Bruce Springsteen. E San Siro tutta in piedi illuminata dagli U2. Il rock è grande. E io ho davanti la sua profetessa.

La vita può essere una cosa meravigliosa.


(Circolo dei lettori, Torino, 26 giugno 2010...En attendant Patti Smith)


fine prima parte