giovedì 5 dicembre 2013

Che cos'è una famiglia? Storia della mia.

Post in vista del Natale...
Oggi ho voglia di parlare di famiglia.
Un tempo io facevo parte di una vasta famiglia di parenti di sangue dei quali andavo fiera...creavamo motti con il nostro cognome, disegnavamo magliette e pensavo mi fosse assolutamente chiaro cosa fosse una famiglia. A Natale soprattutto. Le feste di Natale erano uno spazio di gioia assoluta, noi e gli zii e i cugini sempre insieme...ricordo con assoluta precisione la ricerca del regalo perfetto, le mille astuzie per incartare pacchi che non tradissero il contenuto, le ore passate ad addobbare e preparare la casa, io e mia sorella tutte prese dallo stile, Mamma che esaltava ogni nostra creazione salvo lamentarsi che ci voleva più colore e più pacchianeria, diamine! è pur sempre Natale!, Papà addetto alle luci che ogni anno facevano a gare per rompersi nel momento meno opportuno...E quando arrivavano i parenti era tutto un coro di "ohhh, a casa vostra c'è sempre quest'atmosfera così bella". E poi la Messa della Vigilia, il Presepio vivente, il Cenone, e la cerimonia dello scartamento-regali. Ricordo tante di quelle risate. La casa allegramente sfatta dopo il ciclone, la montagna di carta...Nella notte inoltrata ci si ritirava a dormire, non prima di aver guardato e riguardato i regali ricevuti...E ringraziato Dio per un altro Natale.
Poi il black out.
La malattia di Papà.
Quello strano Natale in cui abbiamo riso e giocato per scacciare la morte, intimamente consapevoli che era il convitato più ingombrante del tavolo.
Ho sperato con tutta me stessa che il giorno scacciasse le tenebre.
Che se l'inevitabile doveva compiersi, e sapevo perfettamente sarebbe successo, la vita potesse esserci lieve, che la fine di quell'idillio che era la mia famiglia non significasse automaticamente la fine di tutto.
Sei mesi dopo quel Natale, con precisa puntualità, il convitato ha bussato.
Papà è volato via e con lui qualsiasi possibilità io avessi di restare bambina.
Sono passati anni. Eppure mi capita ancora di svegliarmi la mattina e non ricordare che lui non è nell'altra stanza. Fisicamente, almeno.
Dopo quella morte il castello di carte che era la mia famiglia si è completamente sgretolato.
Uno ad uno, si sono volatilizzati tutti.
Zii che erano come genitori, cugini che io chiamavo fratelli...via via, run away as fast as you can, direbbe il mio amato Kanye.
Credo che passerò una vita intera a chiedermi perché. Mi sono data alcune risposte, nessuna è stata mai abbastanza.
Il dolore fa paura. Una paura fottuta. E' più forte dell'Amore?
Non lo so.
Quello che so è che al posto di quella che per anni mi sono illusa fosse la mia famiglia, al posto di quella che GIURIDICAMENTE, in Virtù delle leggi dello Stato, è la mia famiglia, io ho trovato una manciata di persone spettacolari.
Gli Amici.
Non hanno mai lasciato la mia mano, mi hanno offerto la loro casa, la loro spalla, la loro vita.
Hanno diviso con me i problemi, i sorrisi che si riaffacciavano, questa specie di nuova vita che cerca ogni giorno, con estrema difficoltà, di essere più e non meno di quella di prima.
Non devo fare nomi.
Sapete bene che parlo di voi.
Mamma e Sfinge, le persone migliori che io conosca.
Sorelle dell'anima mia, vicepapà e vicemamma, nipotini con il telefonino o gli occhiali o le colichette.
Mi piacerebbe poter andare in un qualche tribunale e poter dire:
Eliminate per sempre questi miei consanguinei dalla mia vita, pulite il mio albero genealogico, vi prego, perché non so chi siano, se li guardo non li riconosco. E solo per educazione non sputo loro in faccia.
In cambio però scrivete a chiare lettere che questi folli, colorati personaggi sono la mia Famiglia, fate qualcosa, presto! Aggiungiamoci tutti i cognomi, protocolliamo delle dichiarazioni!
Oppure lasciamo le cose come stanno.
E stampiamoci a chiare lettere questa verità addosso, facciamo dei cartelli, appendiamoli nelle case, negli uffici:
FAMIGLIA è un concetto sul quale lo Stato, la legge e il sangue non hanno alcun potere.
FAMIGLIA è ciò che noi scegliamo di chiamare così.
FAMIGLIA è chi amiamo e chi ci ama. Davvero. Nella gioia e, soprattutto, senza dubbi, senza paura, nel dolore.



















lunedì 2 dicembre 2013

Il Santo Vero...Costruire.

Ebbene.
Rieccomi.
Pare che non faccia altro che sparire-riapparire-sparire-riapparire...
Però sto crescendo.
E questo mio piccolo blog, questa "stanza tutta per me" per citare l'amatissima Virginia, sta per diventare qualcosa di più...di più grande, di più importante.
Insieme a me, che oggi forse per la prima volta sento di avere più caro il futuro del passato.
Abbiate fiducia.
Grandi progetti stanno per essere buttati sulla piastra rovente...

E' stato un anno così strano, così difficile.
Pieno di tempi morti ed emozioni pazzesche.
Sono diventata zia di due cuccioli incredibili, ho eliminato con estremo dolore dalla mia vita tanti rami secchi, ho cambiato città, poi sono tornata indietro, ho capito che ci sono delle persone che non voglio perdere, ho incontrato un Angelo, ho preso una strada, ho trovato qualche senso...
Sono ancora grassa. A questo punto non so davvero dire se lo resterò per sempre. Cambio idea un paio di volte al giorno.

Ma di una cosa ho la certezza forse più che mai assoluta.
Sono uno scrittore.
Voglio raccontare delle storie. E dire la verità, sempre.
E non voglio che la vita mi distolga da questa dannazione.

Chiudo qui, con Manzoni, chi l'avrebbe mai detto, con questi versi che ho appena appeso al muro davanti a me...

...da la meta mai
non torcer gli occhi, conservar la mano
pura e la mente: de le umane cose
tanto sperimentar, quanto ti basti
per non curarle: non ti far mai servo:
non far tregua coi vili: il santo Vero
mai non tradir: né proferir mai verbo,
che plauda al vizio, o la virtù derida.







mercoledì 2 ottobre 2013

la mia pasta è omofoba. 2 parte

Ora capite che se la mia pasta dice: "Non faremo pubblicità con omosessuali, perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d'accordo, possono sempre mangiare la pasta di un'altra marca. Tutti sono  liberi di fare ciò che vogliono purché non infastidiscano gli altri", a me la pelle ha il sacrosanto diritto di
accaponarsi... (è la parola precisa...perchè di fronte a certe cose mi gonfio di rabbia come un cappone!).
Qui il problema non è se il signor Barilla sia o meno libero di scegliere il suo target, detto che poi qual è la famiglia tradizionale esattamente? Nell'ipotesi migliore lui che cambia canale mentre lei serve al tavolo, dopo che hanno lavorato entrambi per quella storia della parità , nella peggiore lui che l'ammazza perché lei decide
 di smettere di subire. Ottimo direi, soprattutto se avviene in un Mulino.
Ma se questo fosse stato il Barilla-pensiero e lui non l'avesse espresso si sarebbe trattato solo della sua personale ipocrisia e grettezza culturale.. Detto che poi io per esempio non guardo la tv nè leggo i giornali di ipocriti e gretti..
Che se poi tu hai il diritto di essere un omofobo io ho il diritto di scegliere prodotti non prodotti da te..
Ma qui il problema è che il meschino non si accontenta di pensare certe cose.
Le deve dire.
In diretta nazionale.
Autorizzandomi a pensare che la mia pasta sia omofoba.
E di conseguenza autorizzando il mondo a pensare che il pease che rappresenta lo sia.
E quindi autorizzando chunque a pensare che sia pensabile, e magari di conseguenza prendere in giro, picchiare, ammazzare...
Perchè che motivo c'è di non rappresentare una realtà nei tuoi spot se non che tu ritieni quella realtà sbagliata?
Ma una volta non esisteva la cultura della vergogna?
Se hai un'opinione di merda e pure pericolosa, è davvero necessario che tu la esponga?
No.
Non lo è. In questo mondo incasinatissimo, pieno di paure, zeppo di razzismi...se la tua opinione non è portatrice di Amore, tienila per te.

Basterebbe anche solo questo, a volte. 

La mia pasta è omofoba, 1parte


Bonjour...
Sono indietro di parecchi post...
Trasferimento a Milano, nuovo lavoro, abbandono di Milano, nuove conoscenze, sonno atavico persistente...
E poi ho scoperto il nome del mio nipotino, litigo con tutti, ho visto morire un cane amatissimo...
Il mondo, citando il poeta, cade palesemente a pezzi.
E io cerco di stare in bilico.

beh, da qualche parte dobbiamo pur ricominciare...
Ripartiamo da un po' indietro, ripartiamo dal Signor Barilla.
Apro una piccola parentesi su quelli che si chiamano come i loro marchi, o che chiamano la loro azineda con
il loro nome, se preferite. E' una cosa che mi ha sempre colpito. Prima sei solo tu, il nome che senti a scuola,
il nome di tuo padre (quando cambierà questa legge atavica?)...Poi diventa il nome che milioni di persone
danno a qualcosa...un abito, una macchina, una pasta. IN alcuni casi diventa IL nome. 
Come questo.
Barilla è, in Italia e nel mondo, il nome della pasta.
E' questo è il motivo per cui chi amministra, e magari porta, questi nomi dovrebbe stare molto molto attento.
Quando parla non parla solo per se stesso, parla per una categoria, parla per un'ideaplatonica...
Quindi io, povero e ignaro consumatore medio di pasta, mi sento autorizzato a pensare che le parole che
 escono dalla bocca di uno che si chiama Guido Barilla siano il pensiero e le parole della mia pasta, orgoglio

italiano nel mondo, e del mio Mulino, sorpresine comprese...

mercoledì 18 settembre 2013

Vogue Fashion Fuck.

Fiera del capello stirato, dei tacchi che cominci a lamentarti prima di metterli e quanto sei 
scomoda sarà l'argomento unico di tutta la serata, delle checche con le borsette di pelle 
borchiate, delle labbra rifatte, delle veline che sono le vere dive e dj Francesco l'anima della
festa...iper fotografati esempi della pochezza contemporanea...questa è la notte della moda
milanese, il biglietto da visita di tutta la tristezza di un mondo che non è più in grado 
nemmeno di fingersi se stesso. 
E io me ne sto qui. Senza trucco e con le scarpe di Decathlon. 

Vago in mezzo a voi come un esploratore stanco.
In fondo ogni artista passa il suo periodo buio.
Il mio è questo. 
Perduta fra le sirene di un mondo che non è all'altezza del Sogno.
Perché quello che io amo della Moda, l'Arte del bello per eccellenza, la Musa capace di anticipare e raccontare il mondo, lo splendore del tessuto che, attraverso il genio folle e la sapienza artigiana, prende forma intorno al corpo, la favola bella che ci innamora e fa sgranare gli occhi sulle copertine patinate, tutta questa meraviglia non esiste.
Non qui, non ora.
Ora è soltanto questo conciliabolo di trucco da baraccone, discount di silicone, bugie e sogni sintetici pret a porter...






mercoledì 7 agosto 2013

"Eros, Polemos" --- Un piccolo regalo inedito.


La battaglia io la stavo guardando non più con aria distaccata e odio, no.
Io ora guardavo quello scempio con il cuore scaldato da un brivido.
Là, fra il rosso del sangue e il nero della morte, ora stava, bellissimo, colui che io amavo più d’ogni altra cosa al mondo…Più di mia madre, che era una dea, più della gloria, che era il mio destino, più della guerra, che era la mia vita.
L'amato mio bene era partito con tutto il suo furore.
Perché i giovani chiudono a doppia mandata occhi e ragione quando li prende il furore.
Era andato in mezzo a chi lo odiava con armi bellissime, rabbia feroce e saggezza alcuna.
Forse per questo più di tutto lo amavo.
Per i suoi capelli di miele, sì. Per la sua carne chiara. Ma anche, e di più, forse, per quella sua impazienza, quel palpito di follia.
Era un ragazzo il mio bambino e si credeva un uomo.
Quando lo stringevo a me, il suo cuore contro il mio cuore, i suoi sogni mischiati ai miei sogni, le nostre mani intrecciate, i capelli confusi, io sentivo tutta la nostra forza, il nostro amore grande,  splendente… che mai capriccio degli dei avrebbe potuto porvi fine.
La battaglia io la guardavo.
E nella battaglia stava ciò che di più bello avevo al mondo. E un brivido mi percorreva la carne.
Dalla mia posizione lontana, vicino alle navi, vedevo colori confusi, schizzi improvvisi, bagliori di armi…
E sentivo. Grida, pianti, le punte delle lance battere sulle corazze invincibili…
Ma tra mille urla io cercavo la sua voce, e tra mille rumori quello della sua spada, la mia, in realtà, che io stesso gli avevo affidato perché si fingesse me.
Me lo aveva chiesto nel pianto, come un bimbo.
“Ti prego, mio Amore. Dammi le tue armi, dammi i tuoi cavalli, dammi il tuo esercito…E io ti giuro che non combatterò, che sarò attento, che cerchèrò solo di spaventare il nemico”
“Giuramelo davvero, giuralo ancora, giura che non combatterai, che sarai attento, che cercherai solo di spaventare il nemico e io ti darò le mie armi, i miei cavalli, il mio esercito”
…così gli dissi perché tanto non lo potevo più tenere, la guerra voleva, lui che della guerra conosceva poco più che i racconti.
Gli diedi le mie armi, e i miei cavalli e il mio esercito perché era l’unico tentativo che avevo  per salvarlo.
Ma ora…
Troppo tempo era passato dall’inizio della lotta.
E nessuno dei nostri ancora tornava.
Parlare di presentimenti, no, non mi sembra sincero. Ma di un profondo malessere che ormai non riuscivo a domare, sì, di questo posso dire.
Guardavo la battaglia dalla mia lontana posizione, la guardavo e rabbrividivo al pensiero del mio amore là, perso in mezzo alla bufera.
E poi…Vidi qualcuno corrermi incontro, furiosamente, in mezzo alle pietre di quella spiaggia odiosa.
Non riconobbi il suo volto, solo notai che era senza armi e che sembrava preso da un impeto sublime.
Correva e sollevava polvere e correva.
Mi fu davanti.
Allora capii chi era. Un ragazzo bellissimo che era con me da quando era un bambino, figlio di un vecchio saggio che mi voleva bene.
Mi fu davanti.
Vidi il suo viso che sembrava sciogliersi con le lacrime.
E provai pena pensando a quanti amici doveva avere perso in quel giorno di guerra e in tutti quelli prima, in quella giostra folle che ad ogni colpo di lancia sembrava andare più veloce.
E non pensai subito che era venuto ad annunciarmi la morte del suo amico più caro, il ragazzo che io più di ogni altra cosa al mondo amavo.
“E’ morto”, mi disse…ché tanto altre parole non sarebbero servite…”E’ morto”.
Tutto, all’improvviso, mi abbandonò.
La forza fuggì dalle mie vene, la voce mi si spense in gola e il mio corpo non resistette più.
Caddi a terra, come morto, ma molto più che morto.
Caddi a terra, io, l’Eroe.
E il ragazzo mi disse di alzarmi, di andare…perché i nemici stavano straziando il purissimo corpo del mio Amore.
Alzarmi…andare…
E con quale forza, voce, corpo?
Io che non ero più né forza, né voce, né corpo.
Volevo confondermi con la terra e le pietre. I miei capelli impastati con la spiaggia e le mie nobili vesti putride, perché di sangue erano le mie lacrime.
Uccidermi.
A questo solo pensavo. Ché tanto ormai ero già morto e quasi sepolto tra la sabbia nemica.
Uccidermi.
Ma non sentivo la forza nemmeno per cogliere un pugnale e conficcarlo nelle mie viscere, laddove ancora più forte ora bruciava l’amore per il mio Amore.
Un pugnale, agognavo, un pugnale che potesse darmi sollievo come l'acqua in un mezzogiorno di agosto, un pugnale che suggellasse la mia morte.
Allungai un braccio.
E invece del freddo della bella lama trovai la calda carne del ragazzo, che era un bambino quando lo conobbi.
La sua mano strinse la mia mano…forte…come se la nostra pelle poro a poro potesse trasmettersi forza.
Lentamente, mi alzai.
E andammo così.
Io, l’eroe, con la tunica insanguinata e lui, il ragazzo, con la pelle bianchissima, mano nella mano.
Ci avvicinammo , salimmo su una collina.

E dalla collina io ho guardato ancora la battaglia.
E ho visto uomini simili a leoni strapparsi la carne di dosso.
Ho visto uomini simili a vermi strisciare chiedendo pietà.
Ho visto uomini simili ad avvoltoi incombere sul corpo che io per tante notti avevo stretto fra le braccia.
E ho dimenticato il Re che odiavo, ho dimenticato la mia schiava rubata e le offese…
E ho urlato.
Più forte.
Ho urlato.
E mille e mille volti ho visto alzarsi verso la collina, i volti dei leoni uguali a quelli dei vermi come a quelli dei rapaci…i volti degli uomini.
E il mio nome terribile che significa guerra io l’ ho visto formarsi sulle loro bocche.
E gli avvoltoi, vili più di tutti gli altri uccelli perché si cibano di ciò che altri hanno ucciso, io li ho visti scappare.
E poi un silenzio che è così lontano dalla guerra è sceso sul campo seminato di morte.
E il mio amore senza vita è tornato alle nostre tende.
Come un bambino rapito dal sonno portato tra le braccia, io lo vidi. Ma non erano le dolci mani di madre a cingerlo, ma quelle callose e piene di morte di un vecchio generale.
Una notte e un'altra e un'altra ancora sono rimasto ancora con lui.
Notti di pianto e di veglia, di baci sui capelli di miele, carezze alla sua carne chiara.
Poi sono andato.
Perché la guerra era la mia vita.
Io, Achille glorioso, nel nome del mio Amore.

                                                                             
                                                                             (Darkene Fabiana DiCembre)

martedì 25 giugno 2013

E' l'inchiostro aggrappato a questo foglio di carta...*

Ci sono.
Ho ritrovato la penna che avevo perso da un paio d'anni.
Ho ritrovato quel sentire forte che faceva di me uno scrittore.
Sono stata così vicina al buttare tutto all'aria...per un lungo tempo ho creduto che fosse finita, che l'artista se ne fosse andato.
Ora non so dire per certo se ne nascerà qualcosa.
Se riprenderò in mano Velvet Golgotha e sapremo finalmente che ne sarà del mio Sebastian.
Se avrò voglia di piangere e ridere ancora e più forte, per lui e con lui.
Per ora ci sono solo un paio di racconti pro-concorsi, uno tristemente rifiutato dalla giuria di Vanity Fair**, è la prima volta che mi accade, e uno rifiutato dal server che me lo ha sputato indietro a deadline passata...
La mia sottile inclinazione coelhana ha cercato di vendermeli come presagi...ma ho deciso di fare spallucce e godermi invece la mia rinata voglia di scrivere.

Stay tuned.



* E' non è è una canzone di Niccolò Fabi

** Che poi ne ho letti alcuni dei racconti selezionati...NOn è per sputare sempre sulla Hoden, però...magari ne riparliamo.